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Intervista a Guglielmo Petroni (rispondi alle domande)

Comprensione scritta B1-B2

LA LETTURA DELLA POESIA "L’UOMO CHE CAMMINA"

Leggi il testo della trascrizione del frammento dell'intervista e stabilisci le giuste corrispondenze.

Guglielmo Petroni: [00:46:10] Io posso leggere una o due poesie di quelle che sono nell'ultimo volume, perché quelle inedite bisognerebbe che le sapessi a memoria, ma non le so proprio, qui non ce l'ho. Leggerei prima una che ho intitolato, nell'ultimo libro, L'uomo che cammina, mentre l’ultima… nella penultima edizione il titolo era diverso, era Guardare in alto e Camminare, qualche cosa di simile, scusate ma non me lo ricordo proprio, ma recupererò quel titolo perché era più bello. Nell'ultimo libro è intitolata L'uomo che cammina e la leggo perché mi sembra sia abbastanza significativa del momento, del trapasso del nostro Paese e anche di noi stessi, da… il mondo di prima della guerra, dal mondo un po' grezzo e sacrificato di prima della guerra, alle speranze del dopoguerra. Si intitola L'uomo che cammina. La leggo:

Che cosa mai sarà di me:
son stanche le grandi ossa
che lente mi conducono
tra le case sconvolte, sulle vie
che s’affollan nei campi solitarie
e s’arrestano ai ponti aperti al cielo.
Che sarà mai di me:
c’è agli occhi un velo.
Il genio della casa andò lontano
disertando le belle antiche stanze
dove morì, sepolta tra le ceneri,
la fiamma dei tuoi grandi occhi di bimbo
allucinò di fiabe e di consigli.
Di noi che sarà mai:
non più l’avvicendar calmo e loquace
dei travagli t’aiuta,
non più l’umor fidente dell’amico.
L’anima altrui s’allunga
allampanata e greve
negli aridi paesaggi desolati,
l’anima altrui non ode
l’avidità del tuo silenzio:
ognuno ha il suo tormento e t’abbandona.
Non più le sere troverai l’amore
che insegue il canto agli usignoli
e tra l’erba dei prati t’assapora.
Scaduta è l’ora delle tue speranze,
delle tue vanità labili e care,
e dalle case abbandonate sale
tanta voce di morti e di passioni.
L’ortica annega gli orti
in cui fioriron grasse le stagioni.
Che sarà mai di tutti:
sui monti e le colline solitarie
dove ogni vento carezzò gli abeti
c’è, forse, un luogo in cui restar silenti
ad ascoltare l’infinito pianto
che la terra si beve e il cielo ghiaccia?
Dalle torri d’un tempo
il passero è fuggito
è ritornato il nero agile corvo.
Che sarà mai di me:
troppo stretta è la terra estenuata,
troppo è il sole che illumina caporbio,
troppi i pini e i silenzi contro il cielo,
troppe lacrime e canti, troppi affanni,
troppi quei magri figli che non hanno
placidi risvegli del mattino
il canto dell’ incudine solerte
e nella notte l’ansimar dei treni.
O cari, o cari, che sarà di me
che ridire non so nel mio silenzio
una lieta speranza per i figli.

Attività di matching

Bimbo...
Fidente...
Allampanata...
Placidi...