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Uncini, Giuseppe - Roma - 1987

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Trascrizione

Francesco Vincitorio: 00:00:05 Giuseppe Uncini, per gli amici Peppe, nato a Fabriano nel 1929, romano da 34 anni. Oggi 5 novembre 1987, per te scultore, la domanda di Martini, di Arturo Martini: Scultura lingua morta?

Giuseppe Uncini: 00:00:29 Sai, in questo momento, così alle undici e mezza del mattino voglio dire, potrei darti una risposta, verso sera te ne potrei dare un'altra. Cioè voglio dire con questa battuta, che la domanda è molto molto sfacciata e provocatoria e la risposta è molto complicata. Perché in certi momenti io credo che proprio Arturo Martini abbia proprio ragione. In altri momenti, così mi sembra che non sia proprio una lingua morta, specialmente in questi ultimi anni. In questi ultimi due o tre anni mi sembra che la scultura - qui in Italia specialmente dove conosco di più - la scultura ha un... Così vitalità una forza, un modo di esprimersi anche molto molto coraggiosa e quasi mi pare, quello che la prua che porta avanti, nel modo più valoroso proprio e coraggioso proprio. Gli aspetti dell'arte figurativa che noi viviamo in questi ultimi anni - cioè l'avanguardia, se il termine non si carica di aspetti negativi come, come spesso accade - l'avanguardia, mi sembra che sia tracciata, sia così dalla scultura. Dalla scultura, anche perché finalmente la scultura si sta liberando da certi criteri - un po' quei criteri che secondo me ha tenuto fermo la scultura- che è il peso, la forza, il materiale, lo scultore che pensa con i muscoli e tutte queste baracche, che ha tenuto fermo l'aspetto vivace e culturale della scultura. Che gli scultori sono diversi dal dall'atteggiamento del pittore, perché probabilmente è un artista che riflette con tempi più lunghi un po' più lunghi, se vuoi un po' più meditativo e disegna molto. Per cui, dopo tanto, dopo tanta pittura fatta con tanti colori con tante immagini con tante cornici con tanti salotti - ritorna fuori un pensiero un po' più sano, più approfondito e meno inquinato da quello che può essere anche un mercato, attorno agli interessi, che girano sempre attorno alle cose. Quindi, per ritornare a bomba della domanda - se la scultura è una lingua morta o no, non lo so non vorrei rispondere su questo - perché veramente c'è un aspetto in questo momento molto positivo, poi c'è l'altro aspetto estremamente negativo , che è quello delle del pratico della scultura. Perché la scultura non si sa dove metterla, chi la fa è certamente un folle. Perché dico è - una grande faticata quasi sempre, è una un grande faticata per poi immagazzinarla, per trasportarla per fotografarla. Per poi diciamo che si vende, si vende con grande difficoltà. Perché nelle case queste sculture non entrano proprio, per ragioni di spazio e di presenza fisica - per un quadro direi, gira gira una parete si trova sempre, un chiodo per attaccarlo. Ma la scultura ti rompe pure le gambe, per non dire altro. Quindi, ci sono questi aspetti della scultura, effettivamente molto difficoltosi.

Francesco Vincitorio: 00:05:00 L'aspetto pubblico?

Giuseppe Uncini: 00:05:01 L'aspetto pubblico, ecco dove la scultura potrebbe effettivamente vivere e avere spazio, ma io non lo conosco, almeno non me l'ha chiesto mai nessuno delle cose. Tranne qualche occasione - per esempio il monumento di Gibellina, un'opera dedicata al monumento ai caduti di Gibellina, finalmente dopo tanti anni con tanti stenti si è realizzare quest'opera. Il primo lavoro realizzato dopo 30 - 40 anni di cosiddetta carriera. Ora, se devo parlare anche guardando gli altri colleghi eccetera , molta scultura negli enti pubblici o statali, parastatali non so che cosa, eccetera. Mi pare che anche gli altri non è che godano granché di questo aspetto. Direi più, c'è più forze interesse o possibilità di collocare la scultura in certi tipi di industrie, certi tipi manageriali che ti aspetti, le banche, non so, dove effettivamente non solo ci sono più soldi, perché non è sempre una questione di soldi, anzi...

Francesco Vincitorio: 00:06:23 Sono più attenti.

Giuseppe Uncini: 00:06:26 Sono più attenti, più agili, più svegli, più pressati da necessità anche di immagine, non so di pubblicità. Perché che ci sia poi, che l'arte possa essere anche un veicolo per promuovere - anche negli aspetti cosiddetti più superficiali e più o più interessati - ma questo va benissimo, lo è sempre stato. Dico gli affreschi dentro le chiese, avevo anche meno di questi effetti insomma. Quindi l'importante è, quando si vogliono fare le cose, di tentare di scegliere sempre al meglio ecco. E quindi la scultura, per me è una croce e delizia. Insomma, non posso farne a meno, però in certi momenti veramente andrei più felicemente a spasso, al mare o in qualche altro posto.

Francesco Vincitorio: 00:07:26 Nella barca.

Giuseppe Uncini: 00:07:27 Ma sì... In barca sicuramente.

Francesco Vincitorio: 00:07:29 Stai a sentire Peppe, tu adesso, se vogliamo un momentino focalizzare il discorso - adesso abbiamo parlato della scultura - parliamo della tua scultura. Come nasce e come si sviluppa? Io accentrerei proprio appunto, tenuto conto che il discorso lo facciamo oggi, non tanto su quella che può essere stata l'uscita pubblica, le cose pubbliche. Cioè il discorso dei cementi per intenderci, no? Ma a me interessa il passaggio che tu hai fatto da queste strutture costruttive - in cui c'era tanta attività - al discorso, in cui il problema dello spazio si è fatto più acuto in te, anche perché questo si riallaccia col discorso che stai facendo. Cioè, quando tu comincia a parlare di ombre, di spazi. Ecco, a me interessa di capire bene che cosa cavolo stai cercando?

Giuseppe Uncini: 00:08:35 Lo vuoi proprio sapere?

Francesco Vincitorio: 00:08:35 Eh, certo.

Giuseppe Uncini: 00:08:37 Se potessi spiegartelo forse non lo cercherei più, voglio dire, ma questa pure è un'altra battutina così... Ma, cioè forse per tentare di spiegare cosa sto cercando, il perché anzi di certi tipi di ricerca, tu puoi cercare anche altre cose più tradizionali, all'interno della disciplina della scultura. Perché io fin da ragazzo, da ragazzo pensavo sempre di voler fare il pittore. Io vengo dalla pittura - ho sempre dipinto, disegnato eccetera. Raramente pensavo e manipolavo scultura insomma. Intorno al 1958-60 dipingendo ho cominciato a fare la scultura, se scultura si poteva chiamare allora e a tutt'oggi. Perché anche in questo senso credo di essere uno scultore piuttosto così sulla tangente e dirò, questo mi piace molto. Dunque, comincio dentro i quadri a mettere sempre più materia, fin quando questa materia assomigliava molto a un muro. Il quadro era talmente appesantito e talmente, talmente anche significante di questo peso materico, che alla fine ho pensato ma perché devo fingere la tela o una superficie? La faccio, autoportante e forse trovo la strada più vera, più sincera. E così accade, cioè a dire, i miei primi cementi armati non erano tanto per esprimere chissà quali immagini o contenuti. Era proprio per fare, un oggetto - ecco questo è il punto. Oggetto autoportante e quindi auto-significante. Cioè, scaricarlo da tutte le immagini che sopra la tela, avvicinandosi uno è quasi automaticamente costretto a pensare. E invece io ho cominciato a pensare alla struttura di questo supporto, la struttura di questo supporto è, era o è credo autosufficiente nella sua significazione. Cioè quello che significa è proprio quella operazione lì. Se poi questa operazione qui significa veramente, da un punto di vista civile, sociale e artistico altre cose, io lo spero molto. Però per me mi era sufficiente esprimere questo aspetto.

Francesco Vincitorio: 00:11:19 A parte che ti sei sempre mosso un po' così. Non dico sulla inconsapevolezza, ma questa specie di ricerca minimale no, che poi gli altri....

Giuseppe Uncini: 00:11:29 Si, forse minimale. Però era, allora era molto molto provocante e nuovo questo aspetto. Cioè, era scultura, era pittura - non si sapeva. Tant'è vero, la prima mostra che feci a L'Attico nel '61, alcune cose più rassomiglianti della scultura non me ne fecero esporre. Così consigliato da amici, lo stesso da Gentili, perché già non si sa, se questa pittura di scultura, se mettiamo anche questi oggetti a terra non si capisce più niente. Cioè, l'aspetto più positivo non venne, non venne accettato. A tutt'oggi però le cose stanno così, cioè l'equivoco no, perché sculture ha tre dimensioni, la pittura è bidimensionale, ma a questo io non ci credo affatto. Tra la pittura e la scultura, così accademicamente definiti c'è uno spazio enorme, uno spazio dove operare. Tutto nuovo e tutto da fare, dove io credo in parte di starci.

Francesco Vincitorio: 00:12:33 E il passaggio ai mattoni?

Giuseppe Uncini: 00:12:34 Quindi, ecco da materiale a materiale, poi sganciatomi anche da questo complesso del pittore, se nuovi, ho cominciato a trovare una mia fisionomia - del tutto un po' folle, un po' un po' molto libera. - allora ho cominciato a comprare il ferro, il cemento armato, da cemento armato. Finita una certa storia mi è capitato di pensare al mattone - al mattone quale elemento primario se vuoi della struttura geometrica del nuovo - è uno dei primi oggetti costruiti dall'uomo, con raziocinio e calcoli geometrici e matematici ben precisi. Perché il mattone è un multiplo di se stesso, si moltiplica, si applica, si taglia a metà il doppio. E si chiude sempre in una certa forma, pur avendo una libertà enorme, poi tutti gli aspetti tecnici del mattone, insomma ha costruito tutto il mondo insomma. Cioè, il mattone come proprio...Come segno della l'artificiosità dell'uomo. Cioè se un mattone trovato sulla Luna, lì c'è ha passato l'uomo, non c'è dubbio. Quindi il mattone l'avevo scelto con questo, questi intendimenti. Quindi è chiaro, l'intento primario era proprio quello di costruire. E quindi costruire - uno può scegliere il cemento armato, per costruire può scegliere il legno, per costruire può scegliere il mattone, e questo mattone in un certo momento è andato molto bene - e al mattone ho cominciato così, a muoverlo nello spazio a pensare eccetera, e si è aggiunta l'ombra. Ecco lo spazio, dove comincia fuori il grosso tema dello spazio, ma non è che io me lo ero proposto, mi ci sono sì, immerso dentro navigando tra mille tentativi, prove e giornate anche trascorse senza fare nulla, pensando a quello che uno può fare per non essere banale. Quindi, ecco l'ombra. L'ombra, cioè questa visione del mondo oggettivo che tutti abbiamo attorno, quando c'è luce.

Giuseppe Uncini: 00:15:13 Che tutti guardiamo, consideriamo vediamo pensiamo - però effettivamente una speculazione proprio dedicata con molta attenzione a questo fenomeno semplicissimo ma complicatissimo della luce e quindi dell'ombra. Così, mi sono divertito molto e cominciai proprio a specularci dentro. E vedendo questa ombra sotto tutti gli aspetti, non solo quelli coloristici. Ecco, per esempio un passo indietro, posso dire che la pittura in qualche modo, quasi tutta la pittura - tranne quella bidimensionale, bizantina o iconica russa - ha speculato anche sull'uomo, anzi quasi inevitabilmente, fino ad arrivare al re dell'ombra - quindi della luce - che è Caravaggio probabilmente; Michelangelo scolpiva sulla luce e sull'ombra non sulla pietra, la pietra era solo la materia per questa idea. E quindi, tornando alla mia ombra - io l'ho vista, l'ho voluta vedere in tanti aspetti - però sempre con un desiderio di costruirla di... non mi viene la parola, cioè rendendola fisica.

Francesco Vincitorio: 00:16:46 Fisicità.

Giuseppe Uncini: 00:16:48 Fisicità ecco, rendendola fisica, cioè dagli un corpo, un peso, un colore, un aspetto e quindi una presenza. Fino ad arrivare al punto, che mi sono accorto - manipolando questa materia - che l'ombra ha la possibilità di rivelare il corpo da cui proviene. Cioè, se io tolgo - prendo un parallelepipedo gli faccio fare una x ombra o una luce - costruisco l'ombra, in diversi modi - nel mio caso in cemento, in ferro, eccetera... - poi tolgo l'oggetto che ha procurato questa ombra - io facendo un passo a ritroso, ritrovo l'oggetto che magari io ho fatto sparire. Per vario tempo ho costruito soltanto le ombre e la cosa più curiosa è che anche gli amici più vicini eccetera... Non riconoscevano l'ombra come tale, ma vedevano una forma più o meno astratta più o meno bella, più o meno elegante e basta. Cioè quindi tutto il lavoro che avevo fatto, in verità non era un lavoro a vuoto, no? Se l'ombra la vediamo tutti, cioè la incappiamo tutti, tutti i giorni, specialmente noi che siamo qui al meridione, a Roma c'è una mattinata splendida come stamattina. Insomma, la viviamo quest'ombra. Però portata su un valore speculativo di questo tipo, su una presenza fisica di questo tipo, con un aspetto di questo modo, allora questa ombra è una cosa del tutto nuova, che nessuno aveva fatto prima. Cioè, è un altro mattone di conoscenza, ha non solo gli aspetti artistici, ma probabilmente anche così sotto il profilo semplicemente didattico. È una visione che prima non c'era. Effettivamente, da quando io ho fatto questo - senza fare i finti modesti o gli stupidoni - cioè, un fatto di questo tipo può essere anche un bell'aspetto scientifico, del vedere il mondo che ci capita davanti insomma.

Francesco Vincitorio: 00:19:13 Perché, tu consideri sempre - mi sembra dal tuo discorso viene fuori, adesso hai usato la parola scientificità, quindi è una razionalità.

Giuseppe Uncini: 00:19:23 Sì, sì.

Francesco Vincitorio: 00:19:23 Ecco, tu consideri sempre - e sottolinei quest'aspetto dell'arte - come ampliamento di conoscenza, come poi il fondamento della scienza. Cioè, non fatti emotivi, non parli mai di emozioni, di poesia. Ma parli sempre di arricchimento di conoscenze.

Giuseppe Uncini: 00:19:42 Sì, perché questo è quello che mi preme spiegare, che io posso spiegare. Perché, io non credo che un fatto d'arte si limiti a questo. Però io devo trovare il mio veicolo preciso e razionale per poi timidamente - non voglio fare qui, insomma è difficile dirlo in verità, anche se siamo in due a chiacchierare tra amici -però dico, è certo l'aspetto più intimamente emozionante, più intimamente esaltante, è l'aspetto poetico di tutto questo. Però io non voglio dirlo, vorrei che gli altri trovassero dietro questa eventuale immagine che produco eccetera...Sicuramente un fatto d'arte. Perché, io non credo che la scienza possa essere combinata in un'operazione artistica. E cioè, però per un certo modo, le strade sono parallele. Soltanto che uno a un certo punto va a destra e l'altro a sinistra. Cioè, la scienza finisce quando dimostra se stessa, quando è capace di mostrare se stessa. L'arte comincia quando è l'inverso, quando comincia a non dimostrarsi più se stessa, ma ha un'altra avventura.

Francesco Vincitorio: 00:21:11 E' proprio...

Giuseppe Uncini: 00:21:12 È proprio le conoscenza dell'uomo a destra o sinistra, che poi il tutto può essere utile all'uomo.

Francesco Vincitorio: 00:21:19 Ed è proprio su questo che io volevo un momentino insistere, perché ci sono reticenti e quindi su cui te li voglio tirare più fuori. Ecco, una riflessione proprio sul tuo lavoro, fra virgolette poetico. Perché, secondo te questo ombra oltre a portare arricchimento a una conoscenza - perché gli davi una fisicità - perché, poi genera invece emozioni in chi guarda, secondo te perché?

Giuseppe Uncini: 00:21:45 Questo è più duro spiegarlo. Perché un quadro, una piazza di De Chirico genera una certa emozione? non lo so. Questo è certo, noi lo sappiamo che ogni immagine, ogni segno, ogni colore, poste in un certo modo, visualizzate in un certo modo hanno una sua energia interna anche poetica, sicuramente poetica. Perché è il modo direi per dare una spiegazione anche in questo caso un po' più scientifica e meno emozionale. Cioè, è il modo di porre nello spazio bidimensionale, tridimensionale alcune materie, alcuni colori alcune linee e alcuni spazi eccetera. Combinati tra di loro in un certo modo che può farlo, certamente un artista e viene fuori una scarica, una scarica che qualche volta è anche poesia. Cioè, voglio dire, dietro a certi aspetti anche banali del mondo della visione o delle idee speculative, esiste la capacità del lampo così geniale dell'individuo, di vedere quello che, quello che in quel momento nessuno ha visto e ha speculato. Cioè, voglio dire - dietro la siepe del Leopardi no? quello si è affacciato, quella siepe stava lì per tutti, lui ci ha dato addirittura l'Infinito. Cioè, il meccanismo è così, quello spiegabile è così semplice che rasenta sempre l'uovo di Colombo. Però ecco, dentro l'uovo di Colombo, se non c'è quella capacità speculativa, poetica di dire, non succede niente. Quando succede significa che qualcosa.... Però questo è molto difficile, secondo me spiegarlo perché succede, è una combinazione insomma.

Francesco Vincitorio: 00:24:04 La combinazione che tu dici - e qui ti porto un po' ancora su domande un po' a sorpresa. Tu parlavi quella certa linea, quella certa forma, messa in quel certo modo può provocare. Ma c'è la storia.

Giuseppe Uncini: 00:24:23 Anche, certo. E'un altra questione.

Francesco Vincitorio: 00:24:27 Altrimenti, noi avremmo una storia bloccata - talvolta quelle certe linee vengono messe in quel certo modo provocano- perché invece tu hai una storia dell'arte?

Giuseppe Uncini: 00:24:38 Ecco, questo è molto vero - quello che dici scusa, non c'avevo.. Non è, non c'avevo pensato, ma insomma chiacchierando io ho preso solo un aspetto. Certo, la nostra mente è un magazzino di storie e di immagini. Ce ne abbiamo immagazzinate tante di quelle immagini, e per questo che diventa anche difficile produrre nuove immagini e nuove emozioni. Proprio perché siamo talmente ricchi, per cui qualsiasi cosa che uno tenta di inventare è già stata fatta. Questo un artista lo sa molto bene questo, insomma no? E probabilmente è una delle possibili angosce dell'artista che magari ha voglia - chissà da dove viene questa voglia - ma ha voglia di fare delle cose e poi invece si accorge magari che sono state fatte. Quindi, le immagini storiche sono la nostra ricchezza, ma per chi deve produrre, anche la nostra angoscia, quindi nessuno di noi viene da nulla. Ognuno di noi ha padri, nonni, bisnonni eccetera, guai a pensare che si possa fare così anche delle immagini artistiche senza, senza i patrimoni che la storia del luogo ha lasciato.

Francesco Vincitorio: 00:26:08 Ecco, ma tu - esiste questa storia dell'uomo, nella quale in fondo un artista si inserisce - ma poi, a sua volta c'è una storia dell'artista.

Giuseppe Uncini: 00:26:19 Anche quella, sì certo.

Francesco Vincitorio: 00:26:19 A cui tu hai accennato.

Giuseppe Uncini: 00:26:21 Certo.

00:26:21 Cioè, perché questo? ti sei mai chiesto, perché questo trapasso? Tu appunto con una certa reticenza dici, io mi sono interessata al mattone come elemento primario, no? Poi pian piano, questo ha cominciato a costruirci e mi è venuto fuori, mi sono ritrovato quasi senza volerlo ad affrontare problemi spaziali, quindi se diventato davvero scultore. E questo problema è vero, anche Giotto si poneva problemi spaziali, però..

Giuseppe Uncini: 00:26:49 È rimasto...

Francesco Vincitorio: 00:26:51 Fisicamente, è lo scultore che affronta i problemi spaziali. Ecco, allora come mai, qual è questa storia e perché succede? Perché ti è successo questo, secondo te? Tu hai detto per caso. Io non credo che venga mai niente per caso.

Giuseppe Uncini: 00:27:08 Per caso, si dice così chiacchierando, ma forse inevitabilmente, ecco per precisare le cose. Perché, potrei dire di non saperlo, però se io vedo, mi rivedo da bambino - cerco di capire anch'io queste cose, perché è una necessità e quasi tutti i giorni mi alzo e ho bisogno di manipolare delle cose - perché? non lo so, è una questione di cromosomi non so, uno è fatto in un modo, l'altro è fatto in un altro. Uno è biondo e l'altro è moro. Voglio dire, probabilmente sta qui la ragione, più vera e più semplice. Perché io ricordo fin da bambino che i giocattoli, che tutti i bambini allora potevano avere - io me li costruivo tutti con le mie mani. Perché, quello era il giocattolo che più, quello di costruirlo, poi potevo anche romperlo, però io me lo costruivo, l'aeroplano, la barca, la casetta, eccetera eccetera. Poi mi è capitata un'altra vicenda, che ero molto bambino direi. Però ricordo alcune immagini che io mi muovevo tra i muratori - perché mio padre allora stava costruendo una casa, che poi fu anche distrutta dalla guerra eccetera. Cioè, mi ricordo, che non vedevo l'ora al mattino di alzarmi, per andare a giocare dentro questa casa in costruzione per fare il muratore. Chissà, che questi immagine è restata talmente impressa e mi ha condizionato gran parte delle mie attitudini. Ma forse, già lo ero così, costretto e condannato a fare il muratore, a manipolare cose eccetera. È chiaro che io quando penso, se non ho - ecco, questo posso dirlo - se non ho sottomano qualcosa che mi fa vedere quello che sto pensando il mio pensiero si blocca, cioè non va avanti. Anche se mi passa qualche idea, però o non resta o è ben poco. Io ho notato, quando sono in vacanza ad esempio, perché, non ho attorno lo studio, i miei giocattoli ecc. Io sostanzialmente mi dimentico anche di fare lo scultore o...

Francesco Vincitorio: 00:29:47 Non pensi.

Giuseppe Uncini: 00:29:49 Non penso. Poi, mi accorgo che mi sto interessando di quella luce, di quel paesaggio, di quella figura, di quel tale. Però non faccio né appunti, niente. Proprio perché, non ho in quel momento lo strumento sottomano per fisicizzare questo discorso.

Francesco Vincitorio: 00:30:06 Sta a sentire Peppe. Siccome, come tu sai, questa è una registrazione che così, molto ambiziosamente noi diciamo vada per chi vorrà leggerla e chi ascoltarla, chissà tra quanto. Qualche cosa, che tu non ha mai detto e che non è mai comparsa nelle tue biografie, nelle tue recensioni e che invece c'è, che ti sta dentro, te rode, come si dice, ce l'hai?

Giuseppe Uncini: 00:30:35 Sì sì, a me rode una cosa, che in sostanza è un po'tutto il mio lavoro. Cioè, fino adesso ho parlato io di materiali, di aspetti scientifici, aspetti razionali, eccetera eccetera. Però tutta la critica fino ad ora - sono molto interessati del mio lavoro - molti, direi tutti - più o meno felicemente eccetera. Ma bada bene, non voglio fare il pianto, voglio spiegare una cosa che però mi rode dentro. Secondo me, a tutt'oggi e non solo questo accade a me, ma direi alla nostra storia dell'arte che stiamo vivendo, non la critica - io dico in Italia, perché è quella che conosco, non so se all'estero poi accade lo stesso - la critica italiana, non riesce a leggere, ad accettare o a sospettare che si possa fare arte senza che possa veicolarsi, senza supportarsi o senza stare sempre dentro ai valori letterari, dei contenuti letterari. Cioè, la pittura, la scultura deve raccontare sempre qualcosa che probabilmente visto dalla critica appartiene, prima a un'immagine letteraria e di rimbalzo sta dentro il quadro o sul futuro. Questo secondo me, è un grandissimo errore storico, questo mi rode molto: che non si riesce a vedere i fatti di arte d'oggi, perché sono già sono accaduti, fatti d'arte, che non hanno fatto questo percorso, ma ne hanno fatto un'altra,no? Da Mondrian ad oggi, e dico sembra in qualche modo, in qualche momento, leggendo e guardando, che non sia accaduto nulla. E Mondrian stesso invece è accaduto. Cioè, le ninfee per l'impressionista, capito? Sono tutte scaricate da tutti i contenuti possibili. Tanto scaricate, che rimane una splendida pittura travolgente, a tal punto che la critica le ha ricaricate di contenuti che sicuramente non ha, di contenuti letterari. Ecco, questo mi rode proprio dentro. Cioè la lettura, la possibilità di essere artista oggi, come lo siamo, in un altro modo. C'è la libertà di vedere e di esprimersi come si vuole, però questo aspetto - e tu che sei all'interno e conosci molto e molto dall'arte antica ad oggi, frequenti, tocchi quasi tutti i giorni le cose di questo di cui stiamo parlando - ti sembra vero o no?

Francesco Vincitorio: 00:34:06 Ma tu indubbiamente...

Giuseppe Uncini: 00:34:08 Adesso sono io che ti faccio la domanda, però...

Francesco Vincitorio: 00:34:10 Cercando di privilegiare il visivo, no? L'aspetto visivo e non letterale. Ma qui, io mi sono sentito toccato e hai ragione. Perché, anch'io in fondo, quando ho visto questi ultimi tuoi...

Giuseppe Uncini: 00:34:21 Sì.

Francesco Vincitorio: 00:34:21 A forzi di ricerca, ti ho fatto una lettura letterata, che a me è venuta spontanea, cioè è venuto cercare di capire. Che significato io davo - e ti ho parlato di gabbia, ti ho parlato di costruttività e di ambiguità.

Giuseppe Uncini: 00:34:34 Sì, sì, certo.

Francesco Vincitorio: 00:34:34 Ecco, ma di fatto e rifacendomi - a quest'ultimo tuo lavoro, per concludere il tuo ultimo lavoro. In fondo, questo elemento, non dico di letterarietà, ma in chi guarda, è lecito a mio avviso, sì?

Giuseppe Uncini: 00:34:52 No, forse allora non mi sono spiegato. Non è che questo poi in effetti non accada, all'interno dell'opera. Però se si perde la possibilità della lettura, che l'artista oggettivamente ha fatto, ha costruito. Cioè, quali sono stati i suoi modi speculativi per arrivare a questo, non si capirà mai fino in fondo. Cioè, il rischio è di raccontare delle storie, che magari non sanno neanche raccontare delle storie e non volersi spiegare qual è l'intimo di questa storia. Cioè, la musica è veramente costruita su degli spazi geometrici e matematici - no questo no, ecco - in quel caso lì, nessuno mette dubbi. Poi, secondo chi la fa questa combinazione - risiamo con le combinazioni - viene fuori x emozione, emozione che letteraria, musicale, della dolcezza, la tristezza, tutto quello che vuoi. Però guai perdere le strutture primarie, che ha mosso il meccanismo per arrivare alla poesia. Quando puoi, scegli una parola, sicuramente è tale che dentro c'è anche un grande aspetto tecnico di questa scelta - e non per questo si scaglia là la poesia - anzi tanto è vero, che su una buona poesia, io credo se si va a tentare di sostituire una parola, sembra che quella parola sia insostituibile, non la muove più nessuno. Non c'è altra parola, se non quella. Come mai? Qual è il meccanismo? a questo artista gli viene dal cielo? O se l'è procurata con raziocinio, con esperienza, con emozione? Capito che voglio dire? Non so se, probabilmente il discorso è molto difficile. Ma secondo me questo è un aspetto dell'arte, della lettura, del poter godere l'arte moderna che rischia di essere un errore storico.

Francesco Vincitorio: 00:37:10 E adesso, qual è la tua ricerca, in che ginepraio ti stai mettendo?

Giuseppe Uncini: 00:37:15 Ginepraio, sì. Hai colto proprio il momento giusto, perché sto in questi giorni dentro una crisi così profonda e lo spero pure che sia profonda. Cioè, dopo la mostra che ho fatto a Roma - in gennaio scorso - mi è capitato di cadere dentro, dentro una crisi - ma questo non è la prima volta- mi spaventa... Perché, il mio lavoro è tutto a temi, quando il tema si avverte la fine, arriva inevitabile la fine. Che fare? E adesso sto studiando il modo di ritirarmi fuori, come se fosse un'autentica necessità. Potrei anche fare a meno di andare a spasso. Però, inevitabilmente accade questo, ecco questo è un mistero. Perché una persona fa certe cose? Chi glielo comanda, Perché? Ma vai, a capire.

Francesco Vincitorio: 00:38:19 Cosa stai cercando?

Giuseppe Uncini: 00:38:20 O sto cercando, probabilmente un aspetto parallelo alla speculazione nell'ombra che è invece lo spazio. Cioè, tentare di fisicizzare uno spazio, cioè uno spazio che noi possiamo praticare, vivere così. Cioè di calarsi dentro la possibilità fisica di uno spazio che l'uomo - cioè è una cosa molto terrena, come del resto tutto il mio lavoro ed anche molto semplice. Lo spazio tutti lo vogliamo, sappiamo, prendiamo il metro, cominciamo a misurarci la nostra stanza, che spazio è, eccetera eccetera. Ecco, io qua dentro voglio, voglio un altro uovo di Colombo. Mi accorgo che è un po' di tempo che sto disegnando questi spazi, come li posso evidenziare? Come li posso rendere conoscitivi ed emozionanti, realistici e non banali? Cioè, un'altra avventura dell'uomo, dentro a delle speculazioni che chiamiamo artistiche.

Francesco Vincitorio: 00:39:40 Come ti è venuta?

Giuseppe Uncini: 00:39:42 Ah beh, non lo so.

Francesco Vincitorio: 00:39:42 Tu un giorno m'hai parlato di piazza Navona o sbaglio?

Giuseppe Uncini: 00:39:46 Sì sì, perché mi è venuta - ma è un'antica mia idea, ma antica beh, si sono antico quindi... Perché, il mio pallino - io guardo molto l'architettura, il paesaggio e gli aspetti fisici - più della scultura più della pittura, in verità. I miei maestri stanno più, così nella nell'aspetto paesaggistico. Cioè, direi a me interessa molto, molto l' artificiosi dell'uomo, come l'uomo si è adattato su questa faccia della terra - proprio faccia nel senso proprio terrestre. Come ha modellato le colline, come ha fatto le montagne, come ha fatto le strade, ha fatto quindi le case. Ma non tanto per la strada per la collina o per la casa, o per l'edificio, ma per il vuoto, per lo spazio che questa costruzione lascia. Cioè che la vera ricchezza è la vera necessità in fondo. Cioè, Piazza Navona, quant'è bella, c'entriamo dentro: tutti dicono, quanto c'è..che meraviglia! Perché? Perché la fontana è bella, perché la chiesa lì è bella. Sì, è vero. Però è lo spazio che è magico, che esalta, che ci fa sentire così graziosamente inclini a vedere il bello. Sentirsi elevati, sentirsi uomini più completi, più civili, più alti. Non è la stessa cosa andare a piazza Navona o a Tor de Cenci o a Tor...

Francesco Vincitorio: 00:41:35 Bella Monaca.

Giuseppe Uncini: 00:41:36 Bella Monaca. Perché, questi spazi che si determinano, quanta architettura moderna abbiamo fatto in questi ultimi anni? Alcuni esempi, anche bellissimi, ma non riesce a fare una piazza, non si riesce a fare una cittadina, non riesce a fare uno spazio bello, cioè, che promuove l'uomo e lo fa sentire più civile, più alto, più artistico, l'uomo artistico. Cioè, non nel senso letterale, ma proprio nel senso più...più ricco. Perché, sennò a che serve tutto questa sta baracca dell'arte, della poesia, della musica.

Francesco Vincitorio: 00:42:18 Bah, insomma.

Giuseppe Uncini: 00:42:20 Quando uno ha mangiato e bevuto può stare anche tranquillo, invece non è così. E guai a chi si accontenta di questa tranquillità, perché non lo sarà mai insomma. Chi di noi, scultura lingua morta, ma che ne so, forse non è morta per niente.

Francesco Vincitorio: 00:42:36 Che ne so.