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Montessori, Elisa - Roma - 1988

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Trascrizione

Francesco Vincitorio: 00:00:04 Dobbiamo fare un piccolo cappellino, Elisa Montessori, purtroppo devo dirti, nata il?

Elisa Monterrori: 00:00:12 18 giugno del 1931.

Elisa Monterrori: 00:00:16 Oggi siamo, al 21 aprile 1988 - Natale di Roma non so quale.

Elisa Monterrori: 00:00:24 Io ho 56 anni.

Francesco Vincitorio: 00:00:26 Non lo sottolineare.

Elisa Monterrori: 00:00:28 Io anzi, lo trovo molto divertente, sottolineare la propria età.

Elisa Monterrori: 00:00:32 Benissimo, questa è già un'affermazione che mi interessa. Dobbiamo parlare, parlare del tuo lavoro, della tua vita, di te pittrice. Entro subito nel vivo. Passavo adesso davanti a una libreria - ho visto quel famoso volume, finalmente in italiano "Il matriarcato." Pochi giorni fa si è chiuso il forum del Partito Comunista Italiano, sul tempo delle Donne.

Elisa Monterrori: 00:01:06 Sì.

Francesco Vincitorio: 00:01:06 Il tempo concretamente. Ieri mi pare, a Torino si è aperto un convegno - si è chiuso, non mi ricordo bene - un convegno sulla donna nel mondo antico, specialmente impostata sulla cultura, cioè le potesse, le scrittrici. Proprio in occasione poi di un volume che è uscito - che dava testimonianza di un altro convegno, che c'era stato un anno fa - nel quale appariva questo, questi vari interventi. Che in effetti, nell'antichità, sì esisteva ufficialmente un grosso divario, di diritti se così possiamo dire tra le donne e l'uomo.

Elisa Monterrori: 00:01:55 L'uomo.

Francesco Vincitorio: 00:01:55 Ma, all'atto pratico poi, erano più parole che fatti,cioè esisteva il problema. Però, di fatto la donna aveva nell'antichità - specialmente parliamo di antichità greca, antichità romana - un notevole peso, persino nel Cristianesimo, è tutto dire. Noi abbiamo oggi una situazione che si dice, è la più grossa rivoluzione probabilmente del nostro tempo, insieme a quella telematica, cambierà probabilmente la civiltà.

Elisa Monterrori: 00:02:27 Certo.

Francesco Vincitorio: 00:02:27 Una pittrice, collochiamo una pittrice come te. Oltretutto, moglie, madre, la quale dipinge. Come ti ci senti in questa situazione, senti che ti pesa essere donna? Parlami di questo.

Elisa Monterrori: 00:02:45 Senti, questo è un argomento - naturalmente così globale della vita che fa sempre un po' paura definire - io credo, che forse sarebbe meglio cominciare dall'inizio.

Francesco Vincitorio: 00:02:57 Come vuoi tu.

Elisa Monterrori: 00:02:59 Cioè, io penso che le difficoltà della vita, l'ambiente, può modificare molto la struttura di una persona. Però che - in questo senso la tua domanda mi interessa molto - però ritengo anche che un dato antropologico sia fortemente radicato in noi, tanto da poter condizionare noi, dalla vita dell'ambiente. Io sono nata a Genova, questo per esempio per me, è rimasto, sia per me che poi appunto nel mio lavoro, un dato importante. Importante, perché la vicinanza del mare, il vento e il silenzio delle spiagge di allora. Tutto questo, è stato un fatto, un fatto che è entrato in me. Io so benissimo che all'età di tre anni - questa è una confessione, quindi lasciamola andare come viene - all'età di 3 anni ho visto degli alberi e sono ritornata a casa, non sapevo né leggere né scrivere ed ho fatto dei segni. E questo mi ha dato un grande, un grande senso di pienezza e di curiosità. Io credo che da allora non mi abbia mai abbandonato, il fatto non di poter - e guarda che vorrei che tu pensassi questo, che io... ho visto gli alberi, sono tornata a casa e ho fatto dei segni molto elementari, tracciandoli su un foglio di quaderno vecchio.

Francesco Vincitorio: 00:04:41 Conoscendo il tuo lavoro - e vorrei poi tornarci - non mi sorprende affatto.

Elisa Monterrori: 00:04:46 Non ti sorprende e vorrei mettere, appoggiarmi, su questo fatto così infantile, così...

Francesco Vincitorio: 00:04:53 Originario.

Elisa Monterrori: 00:04:54 Originario proprio. Per dirti che già c'era in me, questo desiderio, non c'era certo nessuna consapevolezza. Poi dopo nella scuola - per esempio la scuola è stata un incasellarmi, un distrarmi da questo - però mi ha dato delle strutture che poi mi sono servite. Ora, se saltiamo parecchi anni dell'infanzia, in cui certamente io ero una persona molto, una bambina, molto sensibile, molto attenta e con molta memoria. Io mi ricordo tutte le case dove ho vissuto. Potrei adesso rifarti la pianta, la tappezzeria, i quadri. Cose che nessun altro della mia famiglia peraltro ricorda e quindi avevo una memoria visiva, evidentemente. Come non avevo una memoria invece uditiva, non mi ricordo molto della mia infanzia, ma visiva fortissima. E quindi, io ho fatto così da recipiente di immagini e so che questo mi è servito moltissimo. La scuola, per me è stato francamente una costrizione. Uno stimolo a creare delle cose l'ho sempre trovato dopo, nei momenti di pausa di ricreazione - e io nella scuola ero sempre al minimo di me stessa. Ogni tanto trovavo delle persone che mi capivano, e questo allora mi da una grande ansia di essere brava di rivaleggiare anche con gli altri, ma generalmente io ero piuttosto assorta, ritirata, una bambina introversa evidentemente. Tutto questo per farti capire, che una struttura infantile, dopo reagisce in un certo modo anche in una età matura, con un esterno. Io ho lasciato, ho fatto gli studi classici - per ragioni di lavoro di mio padre - io andavo da un posto all'altro, praticamente cambiava ogni anno città e questo mi dava una grande insicurezza, ero sempre molto sola. Io ho cominciato a disegnare nel periodo, con coscienza di disegnare, nel periodo della guerra. Quando, in un anno noi siamo dovuti scappare, perché c'erano, eravamo perseguitati politici, mio nonno era un personaggio influente nel clima del dell'antifascismo e noi eravamo perseguitati, siamo stati un anno senza scuola, per me e per mio fratello. Mio fratello ha continuato con delle lezioni private. Io siccome dovevo fare il primo, il quarto ginnasio, era, c'era il greco, era impossibile, sono stata un anno senza scuola. Questo ti dice il mio carattere, è stato l'anno più bello della mia vita. Nella tragedia, nella disperazione degli altri, io ho avuto un contatto con la natura fantastico, per tutto il giorno io stavo fuori.

Francesco Vincitorio: 00:08:28 Dove eri?

Elisa Monterrori: 00:08:28 Io stavo sull'appennino modenese, in un piccolo paese con falsi nomi - noi stavamo in una casa senza acqua, senza luce, senza servizi igienici - eravamo mia madre, noi tre figli e la mia vecchia nonna, che era la moglie del nonno, che aveva un po' causato tutto questo peregrinare, in un modo insomma del tutto onesto. In quest'anno, mi si è formata - anche come sempre succede nelle difficoltà materiali - una grande, devo dire ostinazione e forza vitale. Ero io che andavo a prendere l'acqua coi secchi, ero io che mi procuravo da mangiare con le castagne rubate, eravamo molto poveri e io mi sono anche molto divertita. Perché evidentemente il mio desiderio di confrontarmi con l'esterno era sempre stato molto ostacolato. Capivo ed ero terrorizzata, da un'angoscia che naturalmente...c'era la morte, l'idea della morte - io ho visto delle persone morire - siamo stati noi in pericolo di vita più di una volta. Questo, però naturalmente - ero molto giovane perché avevo 12 anni,13-14 anni. E mi ha dato però, non so...è stata un'esperienza, che poi nella vita vedo quanto sia difficile poter comunicare agli altri, è un'esperienza che io non ho potuto comunicare alle mie figlie. Questa solidità di una vita molto semplice, che però ti dà un grande potere di immaginario. Io ho cominciato a disegnare, perché avevo il tempo e su questo punto, arriviamo adesso alla storia del tempo. Il tempo delle donne - il tempo soprattutto creativo, è un tempo rubato. Perché? non perché, sia assolutamente vietato, perché questo è una maglia, molto schematica tradizionale, quello di dire che le donne non possono lavorare in certi campi, non è vero. In realtà, il disastro comincia quando la consapevolezza di una identità non trova un riscontro effettivo all'esterno, anche in termini economici, anche in termini di identità ricostruita, appunto da onestà rispecchiante un esterno. Questo senso di colpa viene interiorizzato, noi siamo le prime carceri di noi stessi, questo è veramente il disastro della mia generazione. Da qui, timidezze e insicurezze, bisogno di affetto, di protezione, di essere nello stesso tempo protagoniste e subordinate perché questo conflitto, il vivere questi conflitti. Poi, cosa succede in una donna? Che c'è un gran dispendio di energie. L'idea della carriera - che nel dopoguerra, per esempio, per le donne era un fatto - era l'unica, l'emancipazione di una donna era l'unico modello che si dava a una donna intelligente. Però l'emancipazione - e tu guarda che io son di poco più giovane di pittrici, anche più affermate di me - sono donne spesso sole. Che hanno avuto compagni, che raramente hanno avuto figli, che hanno pagato la carriera in termini brutali di amputazioni, di amputazione, di amputazione affettiva. Io evidentemente avevo un carattere e un un'attenzione agli altri, una curiosità diversa. Non mi sono mai preclusa il mondo degli affetti, anzi l'ho sempre stimato come una parte proprio integrante della mia vita. E forse, perché sono stata appunto in termini...in tempi così precoci - vicino alla morte e alla sofferenza durante la guerra, ho sempre stimato che realmente la prima cosa, il primo obbligo morale, fosse per me vivere e poi spiegarmi, riconoscermi in qualcosa. Ma per me la vita, ha avuto sempre un segno molto forte, molto carico di implicazioni diverse, non semplice. Bisognava vivere, e vivere a molti livelli. Ma, tutto questo però - poi cosa è successo ,sì mi sono scontrata con realtà anche avverse - devo dire che dopo essermi laureata in materie letterarie qui a Roma, perché i miei naturalmente, non una famiglia borghese, che non non aveva apprezzato la mia decisione, la prima decisione di andare all'Accademia, non voleva lasciarmi senza un titolo di studio, anche appunto il ruolo emancipatorio della donna. Desiderava - mio padre soprattutto desiderava una laurea - e ho fatto questa laurea, in materie letterarie. E avevo vinto, siamo ancora negli anni '50, una borsa di studio per Parigi. Cosa curiosa, che ti racconto, perché l'ho vinta come pittrice, non come laureata, neo laureata. E questo perché? perché in Italia, allora di pittrice se ne potevano contare sulle dita di una mano sola. Io avevo lavorato, avevo già mandato i miei lavori fuori - avevo vinto qualche piccolo premio, insomma avevo iniziato diciamo un curriculum così, di tipo maschile. Questo, ti dico perché era come una chance di affrontare la vita in un modo consapevole da artista, tra virgolette. Cosa mi succede? Dopo, nello stesso periodo, io incontro una persona straordinaria, un uomo straordinario che si chiama Mario Tchou, che è stato il mio primo marito e mi sono innamorata perdutamente di quest'uomo e mi sono sposata. Questo, mandando una lettera di scuse - alla quale mi è stato risposto in termini anzi abbastanza secchi e poco comprensivi - e io ho fatto questa specie di tradimento, quello che poteva essere considerato un tradimento.

Francesco Vincitorio: 00:16:14 Cosa faceva quest'uomo?

Elisa Monterrori: 00:16:17 Mario era un ingegnere elettronico - che fra l'altro lei sa anche un po' di storie - nato a Roma, cinese, che aveva una grande responsabilità nel campo dell'industria.

Francesco Vincitorio: 00:16:36 Ecco, non rapporti con l'arte?

Elisa Monterrori: 00:16:38 No, una reciproca curiosità per cui, io ero molto affascinata dal mondo dell'elettronica, dei computer e credo che Mario fosse molto legato a me, perché lui mi considerava la sua grande, mi chiamava sempre, improbabile. Cioè, il concetto di improbabilità nella scienza come nell'arte, è quello che fa scattare quello che non si sa. Credo che sia una cosa, che alla fine mi è molto servita. Perché non a caso, poi Mario era cinese, non a caso io mi sono sempre interessata e prima di conoscerlo all'arte cinese, e tu sai bene che rientra nel mio lavoro.

Francesco Vincitorio: 00:17:28 Nella tua formazione.

Elisa Monterrori: 00:17:33 Quindi diciamo questo, questo scarto, rispetto a una carriera. Forse io, da allora sapevo che io non avrei mai fatto nessuna carriera. Non mi sono mai ritenuta, però non professionale. Cioè, la professionalità in arte per me vuol dire serietà, nell'arte, nel lavoro, grande confronto con gli altri. Stimolo oggi è perenne, anche se è una parola un po' lunga, a dare sempre il meglio di sé, in ogni occasione. Perciò, io in questo credo, che la professionalità sia molto diversa dalla carriera. La carriera invece è qualcosa che mira ad arrivare in un punto preciso a confrontarsi con gli altri, ma nel senso di ottenere dagli altri non soltanto il massimo riconoscimento, ma insomma, nella carriera sappiamo quanti fraintendimenti, bluff, giochi bisogna fare e che molte volte, le persone che riescono non sono le più brave diciamo e molte volte le persone che riescono, hanno un'abilità che altri non hanno. Cioè, nei casi e nell'arte tutto si può dire, tutto può essere detto e contraddetto. Però io per me stessa, credo che da allora , che non avessi inteso fare una carriera e questo io mi sono più volte domandato, se c'era una frustrazione o una libera scelta. E devo dire che oggi, in età matura, penso che sia stato sia l'uno che l'altro. La frustrazione, nel senso che io sapevo di dovermi ancorare a delle cose reali della vita - come una famiglia, come l'idea di fare dei figli, l'amore tenerissimo per un uomo - e dall'altra parte, la consapevolezza che il mondo dell'arte era così fluttuante - ma non quello dell'ukiyo-e, che è nel mondo fluttuante, devo dire che è una cosa fantastica - ma di cancellazioni che potevano avvenire, lasciandomi del tutto sprovvista di vita. E questo mi spaventava e io forse l'unica paura che ho avuto, è di avere alle mie spalle, un non vissuto. Un non neanche realizzato, proprio un non vissuto. Le persone che tendono disperatamente, è una cosa senza accorgersi di perché lo fanno, il perché. E questo, credo che sia un po' anche una risposta, alla prima domanda che ha mai fatto. Cioè, che le donne hanno seguito dei modelli precostituiti. Torniamo alla storia dell'emancipazione, con donne che fanno carriera - che noi, nella nostra nella mia generazione, sono le marescialle purtroppo - quelle che hanno abbandonato il mondo più distintivo della loro formazione e sono riuscite ad avere dei posti - anche molto importanti, in Italia.

Francesco Vincitorio: 00:20:57 Tu hai optato per una specie di equilibrio, no?

Elisa Monterrori: 00:21:01 Sì, ho tentato.

Francesco Vincitorio: 00:21:01 Ecco, io adesso vorrei chiederti, così proprio entrando nel tuo lavoro. Senti che questo ha beneficiato, il tuo lavoro di pittrice?

Elisa Monterrori: 00:21:17 Anche la risposta dev'essere duplice e istantanea, se possibile. Lo ha beneficiato, perché l'arricchimento e una personalità che è sempre un beneficio. Le cose che ho saputo, che posso dire, che ho voglia di dire... Indubbiamente, non sono state mai né sterili né amputate. Credo, sono sempre state coraggiose, vitali, propositive.

Francesco Vincitorio: 00:21:47 Autentiche.

Elisa Monterrori: 00:21:47 Autentiche. E quindi, questo è perché ho avuto una certa vita e l'ho tuttora. Sono stata molto invece amputative, nel fatto dell'economia della mia vita. Perché durante la maternità, durante - dico la gestazione - in cui ho fatto un quadro enorme, mi ricordo, però 1 non 10. Quindi, ritorniamo al fatto primo, la cultura. Che cos'è? Il fatto culturale, è quello che importa, non è il fatto fisico. Perché una madre - capisco che può lavorare benissimo, però allo stesso tempo deve guardare i suoi figli, perché senno è proprio inutile che li faccia, quindi, ci si trova sempre in questo dilemma. Per non avere dei fatti troppo traumatici - che purtroppo poi nella mia vita ho avuto - però, evidentemente bisogna saper misurare le proprie forze e cercare di avere una vita, come ti posso dire, una vita lunga. Cioè, il tempo lungo delle donne deriva da questa progettualità così interna, delle volte anche stanca, ma in cui il domani si presenta sempre come un susseguirsi di ordini imposti dall'esterno, in cui ogni giorno si deve ritrovare uno spazio e un tempo proprio.

Francesco Vincitorio: 00:23:38 Vorrei, un momentino, affrontare un problema - che abitualmente in genere non si affronta. Mi hai parlato del tuo primo marito - io so che adesso hai un marito - che fra l'altro è un uomo attentissimo, esperto, esperto nel senso migliore del termine...

Elisa Monterrori: 00:23:58 Certo.

Francesco Vincitorio: 00:23:58 Anche di arti visive, pur essendo un architetto ma direi con fortissime propensioni verso le arti visive, so del vostro rapporto. Vorrei sapere, anche qui, hai tratto beneficio? Mi hai parlato vagamente di quali erano state, così le influenze che possono aver avuto sulla tua vita, sulla tua pulsione artistica del primo marito. Ecco, c'è questo secondo marito, cioè ti ha dato, essere vissuta accanto a un uomo così, vivere accanto ad un uomo così?

Elisa Monterrori: 00:24:36 Sì, mi ha dato e mi ha tolto. Siamo sempre alla solita risposta. Però volevo dire, se - questo secondo marito che sposato, ormai sono diciotto anni, fa diciassette anni fa - e io ho perso il mio primo marito quando io avevo trent'anni - e sono rimasta sola con due bambine. Questo naturalmente è stato uno shock emotivo spaventoso. Nello stesso tempo era una possibilità di vivere da sola, cioè riaffrontare quel discorso che io mi ero proposto a 25 anni, di partire da sola. Io ho ricominciato a lavorare in un modo molto più serrato, però avevo un grande handicap, il fatto di dover crescere questi due handicap, che è stata poi la mia vita - capirai se è un handicap, è un fatto di ricchezza, handicap rispetto alla carriera di avere due figlie, in tenerissima età - una di tre anni e l'altra di sei mesi, da crescere. Questo per dirti, che quando io mi sono risposata e queste due bambine erano già più grandi, in un modo molto più consapevole ancora della prima volta, io ho rifatto un tragitto di coppia in cui, in situazioni del tutto diverse, con un compagno tutto diverso, però mi si è ripresentata una vita a due, in cui io dovevo difendere da una mia solitudine, dall'altra parte accettare la vita e il diverso, l'altro da me, accettare un lavoro, che questa volta poteva essere competitivo e pensare che in tutto questo io non potevo morire come protagonista, io dovevo essere sempre consapevole di me stessa, quindi è stato un lavoro sia più facile che difficile, insomma non si possono fare paragoni in questo. Però devo dire che alla tua domanda io posso dire sì, l'identità di ciascuno di noi, secondo me è un fatto referenziale. Non si può eliminare un esterno e si cerca sempre quello di cui si ha bisogno. Evidentemente stando vicino a un uomo come Nino, che è una persona intelligente, abbiamo letto gli stessi libri, abbiamo avuto la stessa cultura, abbiamo gli stessi stimoli, in qualche modo operiamo tutti in una sfera creativa. Ci ha dato e mi ha dato anche una difficoltà forse maggiore, ma ho anche una spinta interiore più forte.

Francesco Vincitorio: 00:27:48 Entrando proprio sul quadro io dico, quindi sul tuo lavoro. Ecco, questa futura ragazza che tira giù e ha in mano i tuoi lavori. Ecco, è qui che io vorrei capire, anche perché credo che sia un discorso che tu, come poi in fondo hai fatto te, può riguardare tante altre donne, tante altre artiste.

Elisa Monterrori: 00:28:08 Ah come no, certo.

Francesco Vincitorio: 00:28:08 Cioè, questa tua condizione - e tu hai così adesso delineato l'atteggiamento per descrizione. Come poi è diventata immagine, cioè potevano essere altre immagini, rispetto a quelle che tu hai fatto? Se avessi avuto una vita diversa, se avessi avuto una storia diversa?

Elisa Monterrori: 00:28:31 La storia è sempre una, non ci sono due storie. Ognuno di noi è tante storie insieme, ma la storia è sempre una. Non si può ipotizzare nell'arte, il segno che non c'è stato.

Francesco Vincitorio: 00:28:50 Tu però, hai parlato da bambina, hai detto: io ho visto un albero, sono arrivata a casa e ho fatto un segno. Questa è stata, un po' la linea, nella quale tu ti sei forse mossa. E qui, io credo che il discorso cinese ha avuto anche un certo peso. Cioè la cultura cinese che tu hai potuto, con più facilità, potuto accostare. E questo ti ha portato a quel discorso - così secondo me importante nel tuo lavoro - natura immagine, che è stato un po' la tua dialettica, ed è quella che a mio avviso ti rende importante come pittrice e nemmeno poi così comune, perché questo discorso realmente, non molti lo hanno fatto con tanta lucidità. Che cos'è il quadro? In fondo a questo interrogativo - io dico Velazquez, tanto per intenderci, su Las Meninas - che cos'è la pittura, rispetto all'immagine e tu l'hai portata avanti. Però c'è un fatto: nel tuo lavoro c'è stato sempre, sempre più direi, un accentuarsi di posizioni - anche qui termini di bene - di avanguardia. Cioè questo discorso, ecco ho citato Velázquez - che l'ha fatto con delle immagini figurative - tu invece, lo hai fatto sempre con questo discorso di ambivalenza, figurativo astratto, sono immagini, astratte, sono immagini che ripetono, tentano di ripercorrere il discorso dell'immagine come percepiamo, quindi capisce una problematica. Specie, da un po' di tempo mi pare, non molto, ma tu sempre più, sempre più su questa linea avanzata, hai come dire privilegiato più che l'esterno, l'interiorità, il senso cioè, delle ultime cose. Ed è qui, che vorrei vedere, come è avvenuta questa evoluzione. Cioè, te donna accanto a uomini, accanto a un uomo - che si interessa in fondo di queste cose, pressappoco avete letto le stesse cose, come ha influito questo cambio? Cioè, hai capito?

Elisa Monterrori: 00:31:05 Sì guarda, io credo che per esempio l'influenza di un uomo come Nino su di me, sia stato nella minore terminazione più programmata del mio lavoro. Vivendo vicino a un uomo che lavora molto, io mi sono data dei tempi più stretti. In un certo senso, ho cominciato a dirigermi in un modo un po' più serrato, ma questo evidentemente può anche essere dall'età, dal tipo di consapevolezza che ognuno ha anche di se. E riguardo, per esempio al lavoro che fa Nino, che è un architetto, il mio lavoro, invece, ha preso devo dire, un'immagine molto diversa da quello che può essere la progettualità architettonica. Perché io credo nel progetto di non progetto. Evidentemente, siccome il disegno nella pittura è un fatto mentale, il progetto c'è sempre. Però proprio in un modo paradossale, il disegno, il segno più autentico, quello che si rende conto del proprio potere inizio pulsionale, che è di per sé un non-progetto. Cosa che, evidentemente, in un tipo di edificare che può essere il pensiero dell'architetto, può essere tenuto soltanto a livello di desiderio di forma e invece per me non è solo desiderio, è fatto. Io nel momento in cui c'è il desiderio già lo attuo. E quindi, c'è un segno che nello stesso tempo ,segno mentale, segno fisico, pulsionale e in qualche modo molto più esistenziale. Cioè, diventa anche gesto di identità in me. Adesso, tu sai benissimo che gli architetti disegnano molto più di quello che costruiscono, questo anche ci ha salvato, in qualche modo. Però per loro è un controsenso, perché il disegno era il preliminare di qualcosa. Mentre il segno, per me è un fatto compiuto, con una sua struttura interna, una sua possibilità evocativa, all'istante e nel tempo, con una sua comunicazione diciamo assoluta. Perché poi, non dobbiamo aver tanto paura di questa. Quindi in questo c'è una divergenza - che non mi ha fatto - mi ha fatto capire per esempio l'architettura e questo è stato un arricchimento. Io l'architettura l'ho vista in un modo molto più lontano, però, nel mio lavoro evidentemente c'è stato un approfondimento, ma è stata diciamo la mia vena, il mio, il mio essere, che forse è venuto fuori in un altro modo, ma non è stato una cosa specchiante ecco, questo proprio lo rinnego.

Francesco Vincitorio: 00:34:40 È già importante questo che tu dici - perché, in fondo secondo me, questi processi osmotici che avvengono in ogni...Si dice che addirittura da vecchi ci si assomigliano fisicamente. Quindi, figurati questo scambio, specialmente se c'è una continua comunicazione, fra le due persone. Secondo me, è anche importante è vero, che può andare anche nella direzione opposta dell'arco - lavoro, che poi è sempre un influenza.

Elisa Monterrori: 00:35:12 È un'influenza, certo.

Francesco Vincitorio: 00:35:13 E probabilmente tu hai influenzato, sicuramente hai influenzato anche lui. Però, a questo punto però, tu vai proprio nella tana del lupo, cioè il tuo lavoro, il tuo lavoro. Io vorrei sentire da te, se quelle battute che avevo detto così immagine ed esteriore-interiore, quella coincidenza è giusta? Cioè, è stata un tuo problema?

Elisa Monterrori: 00:35:46 Sì, è stato un mio problema. Perché io penso che la lettura - insomma, quando uno lavora il primo segno che uno fa su una carta bianca - è sempre un'interruzione, evidentemente si...si opera sul vuoto, su un vuoto di cancellazione, di quello che c'è stato prima, però si opera su un vuoto. Ora, questo segno può essere l'interruzione di una catena di segni prima, e l'inizio di una nuova catena di segni, dopo. Io parlo sempre di segno, naturalmente tu mi intendi che per me segno e pittura, sono delle cose che...

Francesco Vincitorio: 00:36:37 Un colpo di pennello...

Elisa Monterrori: 00:36:38 Può essere un colpo di pennello, possono essere tutti e due insieme, sono diciamo un insieme complesso, ma nello stesso tempo anche molto istintuale, che può avvenire nello stesso momento. Questo riconoscersi, in questo segno implica una lettura - infatti io tanto tempo fa - la prima scrittura che uno fa, in realtà è una lettura. Cioè, io segno quello che già so, come lo so, perché l'ho già visto. Quindi nel mio lavoro, la prima parte importante è la memoria. C'è il segno come taglio, c'è il segno come memoria, c'è il segno come disegno, perciò, anche come progetto non progetto del segno, c'è il segno come ombra, c'è il segno come, come ti posso dire, come marchio, c'è il segno come traccia - e qui appunto ritorniamo alla soglia della memoria - c'è il segno come trama. Perché la trama, di per sé è fatta dalle verticali e dalle orizzontali, ti dà sia l'ordito della memoria, che quello della scrittura. Il segno come postazione mentale, in cui c'è una terza dimensione, quella temporale.

Francesco Vincitorio: 00:38:34 Tutto questo...

Elisa Monterrori: 00:38:34 Tutto questo...

Francesco Vincitorio: 00:38:36 Per dire chi e cosa?

Elisa Monterrori: 00:38:39 Per dire, primo, la fedeltà a se stessi. Forse l'unica cosa - quando tu mi dici a chi assomiglia? se gli altri intervengono nel mio lavoro? sì, io faccio evidentemente il mio, mio modo di pensare è il modo di essere io una persona che può essere invasa, e quindi io non mi precludo la presenza degli altri.

Francesco Vincitorio: 00:39:10 Però testimonianza di se.

Elisa Monterrori: 00:39:12 Sì, però c'è anche la fedeltà - e per questo, all'inizio ti ho parlato di quei tre segni di albero, perché la fedeltà a me stessa.

Francesco Vincitorio: 00:39:23 Questa è autenticità, fedeltà alla tua autenticità.

Elisa Monterrori: 00:39:26 Sì, che poi non vuol dire, lo sai benissimo, qualità di per sé, ma fedeltà.

Francesco Vincitorio: 00:39:31 E autenticità, in questo senso io lo intendo bene. Però ti ho detto anche, per chi questo?

Elisa Monterrori: 00:39:41 Tu adesso fai una domanda molto semplice, che poi vuol dire l'artista e il sociale, l'artista nel fuori. Io ti dico che in un modo così molto razionale, tu sai benissimo, che non ci può essere oggi nessun progetto, inglobante la società, perché nessuno di noi ha il progetto di cambiare la società. Però, in ogni artista c'è la consapevolezza che se si fa un segno, quel segno rimane nel mondo e il mondo ci avrà un piccolo più o meno con cui fare i conti. Questo è ineliminabile, il senso della novità che nell'arte c'è sempre, anche se ci sono state tutte le catene dietro e ci saranno quelle avanti. E questo è un fatto nel sociale, ma non è nel sociale, inteso nel socialismo. Perché il grande tradimento è questo, poter pensare di influire con degli strumenti politici al di fuori del proprio lavoro, in un esterno. Io invece penso soltanto col mio lavoro, in una maniera silenziosa, anche sofferta, anche schiva, però devo dire fedele a me stessa.

Francesco Vincitorio: 00:41:08 Facciamo una piccola appendice - ma mi sarebbe piaciuto anche chiudere qui, perché in fondo ha detto cose molto giuste e molto vere - in questi cinque minuti, vorrei sapere adesso - tu hai dichiarato all'inizio la tua età, con molta sicurezza.

Elisa Monterrori: 00:41:31 E sai perché?

Francesco Vincitorio: 00:41:34 Dimmela.

Elisa Monterrori: 00:41:34 Questa volta io faccio la domanda, visto che sono i cinque minuti supplementari. Perché, questa dell'età è stata una prova, una piccola prova per le donne. Le donne, della mia generazione non hanno mai detto l'età. Quando si domandava un curriculum - la prima cosa che tu notavi nel curriculum, era che tutte le donne non avevano dato le loro generalità.

Francesco Vincitorio: 00:42:00 Anche le nonne?

Elisa Monterrori: 00:42:02 Sì, sì, anche le nonne. C'era un fatto atavico, di nascondere la propria età, per sembrare più giovani. E questo ti vuol dire la civetteria delle donne, la poca consapevolezza della loro storia e invece su questo bisogna anche battersi, perché ognuno di noi ha una storia, di cui si deve rendere finalmente e anche ironicamente consapevole, no? Io credo di essere stata una delle prime, all'età appunto quando ho cominciato a 18-20 anni a segnare sempre in un modo puntiglioso, un po' così perseverante, ironico verso me stessa, la mia età, lo faccio continuamente. Come non ho mai cambiato il mio cognome, come non ho - tu lo sai, in un modo delle volte profondamente allegro - perché non credo che sia una tragedia. Però sempre in un modo anche un po' provocatorio. Dire, no io sono, per quello che valgo, sono nata a Genova, mi chiamo così così e non me ne vergogno. Se volete stare con me bene, sennò ne rideremo insieme. Ma insomma, non è una cosa importante, è importante e non è importante.

Francesco Vincitorio: 00:43:23 È importante anche in un altro senso secondo me, cioè che cosa può significare - e io qui torno al discorso sociale, perché credo fermamente, che voi non viviate invano, un artista non vive invano - lascia dei segni come dici te, proprio anche per gli altri. In fondo questi segni, molto più semplicemente, forse modestamente li considero un po' modelli di comportamento. Quando tu hai parlato di autenticità, quando tu hai parlato, ecco di affermazione, fedeltà a quella che sei. Questo secondo me diventa, nella sostanza poi, un modello di comportamento. Forse la vita non è altro che una catena di modelli di comportamento.

Elisa Monterrori: 00:44:10 Certamente.

Francesco Vincitorio: 00:44:11 Allora, è per questo che io trovo così significativo in fondo, - anche questo che tu hai detto - perché, quella ragazzina famosa, che tirerà giusto dallo scaffaletto, troverà una donna del 1988, che gli indica un modello di comportamento e questo da più maggior incidenza sociale, che può avere un essere umano, questo è il bastoncino della staffetta. Che lo faccia un artista - che in genere nel nostro tempo, come sempre viene considerata un po' egocentrica, anzi fortemente egocentrica - con tanti problemi che ci apprestiamo a dire, questo mi pare molto importante. Mi hai capito, convieni su questo?

Elisa Monterrori: 00:45:02 Sì convengo, io convegno. Però vorrei dire che tutto questo, che ci dia in questa conversazione improbabilmente seria, che sia questa una chiusura, che sia improbabile e seria nello stesso modo.