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Scialoja, Toti - Roma - 1988

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Trascrizione

Francesco Vincitorio: 00:00:04 Toti Scialoja nato a?

Toti Scialoja: 00:00:06 Roma, il 16 dicembre 1914. Nato a Roma e specificamente a piazza Cola di Rienzo.

Francesco Vincitorio: 00:00:16 Questo ha un significato?

Toti Scialoja: 00:00:17 E' molto importante.

Francesco Vincitorio: 00:00:18 Ecco, spiegami perché è importante.

Toti Scialoja: 00:00:19 Perché in piazza Cola di Rienzo c'era una volta una villetta, che era quella di mio nonno, una villetta costruita da mio nonno nel 1904. Che aveva un giardino bellissimo, pieno di palme, con dei pini, con dei nespoli, con delle aiuole, dei fiori e un giardino stupendo e un grande muro di edera, in fondo al giardino. C'era un grande muro cieco di un palazzo costruito accanto alla villa e su questo muro cieco rossiccio saliva un enorme muro di edera. Ecco questo muro edera ,la contemplazione del muro di edera, dell'acqua della fontana ,dei pesci rossi di questa fontana, la contemplazione di queste foglie - io l'ho fatta da bambino, da due anni fino a sei, finché sono rimasti in questa casa del nonno. E tutta la mia formazione vorrei dire, si fonda proprio su questo tipo di contemplazione solitaria che io avevo - perché facevo questo giardino. Quest'idea di passare il tempo a contemplare, nessuno me lo aveva insegnato, era un mio modo, una vocazione che avevo di vivere in solitudine. Anche perché ero solo in questa casa, in quanto avevo un fratello molto più grande, quindi non avevo nessun compagno di giochi. Vivo solo in questo giardino e contemplava felicemente tutti questi misteriosi oggetti vegetali, che mi davano delle indicazioni, mi creavano, mi facevano viaggiare con loro, mi respingevano a volte, a volte mi ingannavano, a volte mi consolavano. Io vivevo in questa contemplazione continua per tutta la mia formazione psicologica, psichica e la mia tendenza alla creatività, siano nate da questa solitudine in questo giardino. Per questo dico piazza Cola di Rienzo. Il giardino è stato distrutto poi la villa non c'è più.

Francesco Vincitorio: 00:02:27 Hai usato la parola due volte solitudine, e questo mi ha sempre un po' colpito nel tuo ormai lungo cammino artistico. In fondo, tu sei stato un pittore che ha conosciuto tutti, l'élite intellettuale del mondo di questi anni. Però in fondo io ho avuto sempre la sensazione che tu sei stato un solitario.

Toti Scialoja: 00:02:50 Sì, io penso che il mio, la mia natura è solitaria - sì, sì, sono un solitario. Appunto, la solitudine nacque da una vocazione a questo, ma anche da un esercizio di solitudine, fatto da bambino in questo giardino. Io non concepivo che si giocasse insieme con altri bambini. Io giocavo per conto mio, in questo tipo di contemplazione e anche di ipnosi addirittura o di estasi chi mi davano queste forme.

Francesco Vincitorio: 00:03:20 Quindi anche in pittura in fondo.

Toti Scialoja: 00:03:22 Sì, ho sempre fatto le cose perché le amavo profondamente, ma questo amore nasceva da una mia, da un mio impulso interiore - non era mai dettata da mode o da l'idea di fare gruppo con altri, di appartenere a un gruppo, di essere. D'altronde, la solitudine mi ha anche salvato dal fascismo - io ho odiato profondamente il fascismo che mi ha perseguitato, da quando avevo 10 anni, fino a quando ne ho avuto 30. Tutta la mia vita è stata sotto il fascismo e quindi io ho retto al fascismo, ho resistito al fascismo proprio fondandomi in questa solitudine, arroccandomi nella mia solitudine. Tant'è vero che ne ho contratto una specie di disgusto per tutto quello che è sociale che è collettivo, che fa appartenere a una chiesa, fa appartenere a un partito, fa appartenere a della gente che magari sfila per la strada e dietro una bandiera cantando degli inni. Ecco tutto questo mi fa orrore. Già la voce di un...Di un megafono per strada mi fa venire i brividi. Quindi, proprio ho contratto un'avversione per tutto quello che è associativo. Naturalmente, questo è sacrosanto perché avevo a che fare col fascismo, quindi era giustissimo che io giovane intellettuale avessi questo odio per tutto quel che era collettivo in Italia, per tutto quello collettivo, allora era fascista, non c'era scampo. Poi è rimasto, mi è rimasto come trauma - quindi adesso magari è ingiusto che io mi ritrovo così - mi sia ritratto fino a ieri così, ma ormai sono fatto in questo modo.

Francesco Vincitorio: 00:05:04 C'è un'altra cosa Toti, che in questo discorso di solitudine una volta mi ha colpito. Che cosa tu hai detto, il modo come tu l'hai detto in fondo di un altro grande solitario, che era Mafai che in fondo è stato un tuo - si è parlato di vite quasi parallele, anche se lui era molto più anziano di te.

Toti Scialoja: 00:05:26 Sì, è stato un mio maestro Mafai - io l'ho considerato un mio maestro - a parte che era un amico carissimo, fino a un certo punto, poi quando lui cominciò a sbagliare con l'idea di una pittura sociale, una pittura più virile, una pittura più dentro il problema dei propri tempi e quindi cominciò a guardare di malocchio i suoi sorrisetti, la sua sensibilità come avanzo borghese eccetera. Allora mi ricordo che la nostra amicizia a un certo modo si intiepidì moltissimo e finimmo con il non vederci più. Ma durante il fascismo e durante il periodo della guerra eravamo molto amici con Mafai, sì, si. Mafai era un solitario - anche lui - era un solitario aveva un suo temperamento molto molto poetico, un po' infantile, lui viveva come addossato alla solitudine perché la solitudine era come una forma di spazio per lui. Roma era come uno stanzone vuoto, un grande stanzone vuoto - pieno di colori molto dolci, però era un grande stanzone vuoto - e lui si muoveva in questa Roma solitaria, come un solitario che cerca di uscire dalla solitudine e cercare un tipo di rifugio fuori dalla solitudine. Però, anche questo rifugio era cercato in modo infantile, nel senso che lui voleva nascondersi - come fanno a volte i bambini, però allo scopo di essere un po' cercato - si nascondeva per essere cercato. Quando si rendeva conto che nessuno lo andava a cercare, allora lui ripiombava in questa solitudine che aveva soltanto spostato un po' più in là.

Francesco Vincitorio: 00:07:08 E questa è la profonda differenza tua, direi non solo generazionale, ma anche di comportamento. Perché, in fondo anche a livello della tua arte, tu ti stacchi nettamente - anche se chiaramente affondavi, hai cresciuto poi le radici in questa Scuola Romana - matricola di Roma, con tanto diciamo acutezza, ma in fondo tu ti sei distaccato molto presto da questo discorso della Scuola romana, addirittura guardando subito oltreconfine - cosa che non era stato capace di fare Mafai in fondo.

Toti Scialoja: 00:07:41 Assolutamente vero quello che dici, perché io - anche quando amavo Mafai - avevo il mio studio tappezzato di riproduzioni quasi croniche di Van Gogh. Per me, il mio idolo era Van Gogh, in forma un po' minore anche Cezanne. Ma io guardavo a loro con quell'incoscienza che hanno i ragazzi, ma io guardavo, voglio a Van Gogh. Io voglio dipingere come lui, lui mi indicava la strada vera, era Van Gogh, attraverso questi quadricromie molto belline che allora erano vendute a Roma. Queste cromie dei campi di grano, dei cieli tempestati di volo di corvi.

Francesco Vincitorio: 00:08:23 Uccellacci neri...

Toti Scialoja: 00:08:23 Sì, bellissime cose che mi hanno fatto sognare per anni. Io sognavo questa pittura molto espressiva, la pittura come la soluzione del problema del nostro esistere. Proprio come ultima sponda, come vera sponda del nostro esistere, cioè gli davo un valore totale, globale, essenziale alla pittura. Non era un gioco, un divertimento, un excursus intellettuale o un modo di rifugio così. Proprio era in pieno, in pieno la soluzione al nostro esistere, una soluzione mai raggiunta e però sempre inseguita, continuamente rinnovata. Questa è stata la mia idea.

Francesco Vincitorio: 00:09:14 Adesso?

Toti Scialoja: 00:09:14 Sì Sì adesso, sì ma io le vorrei dire questo, io ho sempre dipinto allo stesso modo, e questo è sicuro, cioè ho sempre dato alla pittura lo stesso significato. La pittura - quando io entrai nella pittura in modo drammatico, entrai nella pittura uscendo da una delusione profonda, sia di ordine psicologico umano sia di ordine intellettuale. Io ero un poeta fallito in fondo perché scrivevo poesie dai quattordici anni fino ai vent'anni e queste poesie non mi soddisfacevano, non mi soddisfacevano, non mi piacevano non riuscivo mai, negli gli ultimi anni non riuscivo mai a finire una poesia, mai a concluderla, guardavo a Mallarmé, guardavo a Valèry, a Ungaretti, guardavo a Rimbaud. I miei maestri erano giusti ma io non riuscivo a trovare il quid esatto della poesia. Vivevo di varianti, varianti continuamente cangianti, continuamente ambigue che si riproponevano continuamente non riuscivo mai a concludere una poesia. E poi le feci leggere a un poeta romano, molto più anziano di me, il quale restò molto scontento di queste poesie e confermò la mia impotenza in poesia. Quindi, perché c'era questa impotenza? Chi lo sa, forse non era ancora abbastanza maturo filosoficamente non avevo, non avevo una struttura di pensiero veramente mia, queste prove poetiche erano forse più delle ambizioni letterarie, dei sogni letterari non veramente vissuti.

Francesco Vincitorio: 00:11:13 Posso fare un'ipotesi, che forse in quelle poesie mancava un'altra tua fortissima componente, cioè tu non trovavi nella poesia la possibilità di esperire un altro componente che è una fisicità.

Toti Scialoja: 00:11:26 Forse sì. esatto, esatto è giustissimo. Infatti, quando io poi ebbi una folgorazione, capii che avrei fatto il pittore - poi fu una specie di vocazione immediata, così di apparizione di una epifania che mi diceva tu sarai pittore, quasi in un modo mistico. Quando ebbi questa sensazione, questa certezza che avrei fatto poi tutta la vita il pittore, fui come liberato, ebbi un grande senso di liberazione, un grande senso - adesso posso veramente dire tutto di me, ecco cosa ho trovato il mio linguaggio, ho trovato il mio modo di esprimermi. E allora devo dire che la mia anima è proprio immigrata nella pittura, proprio immigrata, perché la pittura era come una vera patria che mi attendeva - e io e la mia anima è emigrata per sempre nella pittura. C'era questo elemento fisico e giustamente corporeo, sensuale non c'era il corpo la sensualità corporea - che fa parte della mia natura, senza la quale non potrei anche pensare di essere, ecco.

Francesco Vincitorio: 00:12:35 Un po' come vita in fondo.

Toti Scialoja: 00:12:35 Eh, sì, sì, sì.

00:12:35 Vicino a come vita in fondo. Ecco però, dopo quel lungo periodo diciamo della guerra - che forse solo chi non l'ha vissuto non può immaginare quanto era, dico con un po' di ironia, distraente da altri pensieri. Ecco, tu sei stato uno dei primi che finita la guerra, a un certo punto hai fatto il bagaglio e ti sei andato subito oltreconfine e qui e la, differenza ripeto, quello che fin dal primo momento ti aveva differenziato, questa tua grande curiosità intellettuale, questa tua grande cultura, che in fondo tu sei veramente un intellettuale nel senso più vero del termine. Hai sentito il bisogno di andare fuori.

Toti Scialoja: 00:13:18 Sì, io intanto avevo un'avversione per il mio paese - e devo confessarlo purtroppo, perché il mio paese era fascista, e tutto completamente era fascista - solo fino, agli ultimi, ultimi, due anni quando la disfatta è apparsa come una cosa ormai inevitabile. C'è stato un cambiamento di rotta di certi intellettuali, di certi amici, ma insomma tutta l'Italia era fascista completamente. E anche nei migliori insomma, solo alcune eccezioni, solo alcune sante eccezioni ci sono state, ma non bastavano ecco non bastavano. Quindi, io ho contratto un'avversione per il mio paese, volevo andare nei paesi civili, democratici, nei paesi dove c'era un altro tipo di esperienza sull'uomo, ecco. Meno rozzi e meno sottosviluppati, com'era allora l'Italia fascista. Quindi avevo questa voglia di patria come diciamo - come la pittura era una patria per me, così era patria Parigi, in quanto la capitale del pensiero ottocentesco della borghesia, a cui apparteneva il pensiero borghese in senso alto, cioè laico, democratico eccetera. Così così New York - anche un'altra grande patria dell'anima per me era New York - che era città dove la gente viveva, io lo sentivo benissimo e poi l'ho percepito, poi ci ho vissuto e l'ho...l'ho sperimentato...Viveva senza il principio di autorità, è una cosa straordinaria, che a dirla non basta dirla, ma va sentita. Lì si vive senza il principio di autorità, si vive con una fiducia in se stessi. Fiducia in se stessi, senza principio di autorità. Quindi c'è una libertà innata, proprio della struttura della coscienza, fin da quando nasce, che non è la nostra libertà conquistata, faticata, ogni volta è una vetta a cui tu arrivi, continuamente contrastata, messa in dubbio da forze che non accettano questa libertà dell'uomo. E tutta questa lotta continua, per cui si arriva alla libertà, però con una gran fatica. In America si nasce liberi e questo è come dico io, alle volte per scherzo, il vero ricco è quello che nasce ricco, non quello che si fa la ricchezza. Perché quello che si farà ricchezza, dura tanta fatica che poi questa ricchezza non se la gode veramente. Il vero ricco è chi nasce ricco e così direi in un modo un po' crudele, un po' troppo crudele, forse ma il vero libero è chi nasce libero.

Francesco Vincitorio: 00:15:55 Però ti faccio un non obiezione, un'osservazione. Tu una volta giustamente, hai detto che in fondo l'andata negli Stati Uniti per te è ritrovare delle radici europee.

Toti Scialoja: 00:16:05 Ah sì sì, è vero, vero, questo è verissimo. Però, le radici europee tutto quello che era nato, che c'era a New York, era di origine europea. Tutto, l'espressionismo astratto è una cosa che nasce con Kandinsky nel 1913, con i famosi acqua acquerelli astratti espressionistici. Il surrealismo, che è la grande matrice, la grande forza, la grande potenza energetica della pittura americana, nasce naturalmente in Europa, con Breton che la codifica addirittura, l'espressionismo e dico l'automatismo psichico, è una cosa codificata da Breton e gli esperimenti materiali su l'automatismo sono fatti da Max Ernst per esempio, da Masson. Quindi, tutte cose nate in Europa. Poi la superficie, l'idea della superficie come campo di scrittura, campo di segnico che nasce con Cezanne e poi con il cubismo analitico e poi con Mondrian. Quindi, tutto, tutto, tutto è stato preparato in Europa. Fatto che in Europa non ha creato, non si è creato quel crogiolo, quella sintesi che univa queste cose perché c'era la guerra, c'era Hitler, c'era Mussolini, c'erano le guerre mondiali, quindi era anche impossibile e tutti erano scappati dall'Europa a un certo punto no.

Francesco Vincitorio: 00:17:36 Quando sei andato a New York in fondo, inseguivi questi questo luogo dove invece questo crogiolo aveva creato oro?

Toti Scialoja: 00:17:42 Sì sì sì, perché io mi ricordo che tutte le mie vicende pittoriche nascono sempre da passioni, da moti quasi irrazionali, da innamoramenti, non c'è un piano logico che mi abbia mai predisposto a qualsiasi azione. Ho sempre, sempre mosso per impulsi, per schiarite, per entusiasmi, per rincorse improvvise. Quindi, io mi ricordo che la cosa che mi colpì moltissimo fu vedere la pittura di Diebenkorn, che allora era un giovane - che esponeva a un concorso di giovani pittori internazionali - e a Valle Giulia c'erano erano questi grandi quadri di Diebenkorn, che mi colpirono il cuore, perché vedevo per la prima volta questa pittura fluida, sensibile che sgorgava direttamente dal sentire direttamente dal percepire spazio come territorio dell'anima. Ecco, questo senso, questo moto curioso che io ho captato, mi ha molto colpito. Poi, un altro momento di grande emozione - quando io sfogliando il catalogo del Museum of Modern Art di New York ho visto una riproduzione a colori del quadro Agony, di Arshile Gorky. Quello fu un quadro che mi sconvolse, mi fece capire che lì avevano capito tutto, lì avevano creato questa fusione, questa cosa, che io già dentro di me stava operando naturalmente, ma lì ha trovato. E poi soprattutto, non sono andato tanto lì a New York per imparare, ma per conoscere queste persone, per sentirmi all'unisono con loro, per sentirmi compagno tra compagni e trovare degli amici, il senso curioso di congiungersi con delle persone che amavo attraverso i quadri.

Francesco Vincitorio: 00:19:47 Quindi questa spiritualità... Di questi ricordi, qual è il personaggio che ti è rimasto così nel cuore, come un amore non deluso diciamo.

Toti Scialoja: 00:19:56 Ma...

Francesco Vincitorio: 00:19:56 Tu ne hai conosciuti tanti.

Toti Scialoja: 00:19:56 Sì, ma io non ho avuto mai delusioni dagli americani, perché gli americani e i pittori americani sono, erano molto spirituali, molto e quindi avevano questo senso di gioia nell'incontro e questa memoria. Io andai la prima volta nel '56 a New York, avevo una mostra da Viviano e subito volli conoscere tutti questi artisti. Allora conoscevo bene Tom Hess che era il direttore di Artnews, conoscevo altri. Quindi mi fu molto facile mettermi in contatto con tutti. Allora poi c'era la bohème straordinaria, la gente viveva in una modestia assoluta, e quindi io poi subito conobbi Gaston, e poi subito dopo Gaston conobbi de Kooning e poi Rothko e poi Motherwell, poi Franz Klein, poi Ad Reinhardt in una settimana avevo fatto amicizia con tutti.

Francesco Vincitorio: 00:20:57 Con chi hai legato di più, te lo ricordi?

Toti Scialoja: 00:21:02 Beh, io ho avuto due grandi, tre grandi amici, tre grandi amici - il Gaston che era una persona di una finezza intellettuale straordinaria e una affettuosità straordinaria, de Kooning che era una persona un po' come, come un, un Ridolini tenero perché era così innocente, così disponibile, così pronto a legare con te, se tu volevi parlare con lui, così aperto tutto - che veramente era anche troppo infantile in un certo modo, però era dolcissimo. E un'altra persona dolcissima era Rothko, Rothko che era tenerissimo con gli amici, spietato con gli avversari, con chi non facesse parte del suo gruppo - ma con gli amici del suo gruppo, con chi gli voleva bene - era una tenerezza assoluta una dolcezza straordinaria. Quindi io, mi ricordo questi tre personaggi con degli amici andavo a passare tutte le sere a casa di Rothko - io quando stavo lì ne 1956, quasi tutte le sere andavo da Marc e lui mi cucinava le uova al tegamino - mi faceva una frittatina lui stesso - era una persona di una semplicità assoluta. Non dimentichiamo, che nel '56 non vendevano un quadro questi pittori. Rothko si poteva comprare con 600 dollari a studio, de Kooning vendeva a mille dollari, mille dollari, cose che fanno ridere.

Francesco Vincitorio: 00:22:36 Io non voglio provocarti ma, no no, non voglio provocati, ma tu hai detto una cosa: "nessun americano mi ha deluso", però invece - scusami se ti provoco - a un certo punto nasce in fondo, intorno agli anni, primi anni '60 la Pop art, e tu volti il sedere all'America, o sbaglio?

Toti Scialoja: 00:22:58 Esattamente, ma io parlo dei pittori veri, dei veri pittori americani, che sono questi immigrati che sono, che vengono dall'Olanda, vengono dalla Georgia, dalla Russia. Dappertutto arrivano questi americani, il maestro loro è Arshile Gorky - che era un armeno - e poi tutti gli altri, de Kooning è un olandese, Rothko è un russo. Quindi, erano tutti, erano tutti venivano tutti da fuori.

Francesco Vincitorio: 00:23:32 Allora qualche americano ti ha deluso, quei pop artisti?

Toti Scialoja: 00:23:34 (ride) Poi io mi ricordo, nel '60, io poi rimasi lì per parecchi mesi - avevo uno studio dipinsi, dipinsi dei quadri grandi dentro il clima di New York ed ero molto felice. Però, cominciò a nascere un dubbio profondo, perché questa pittura cominciò a non essere più sentita come vera. E nell'agosto, nel luglio del sessanta - ricordo come ieri la Martha Jackson, che era una galleria molto importante, molto alla moda - espose una mostra di quello che si chiamavano i new media, i nuovi mezzi espressivi, i new media. In pratica era la Pop, cioè la gente esponeva, c'era Dine c'erano altri - esponevano il loro tavolino da bagno, esponevano una bottiglia rotta, insomma, oppure facevano un quadro con un secchio davanti. C'era questo elemento di rottura, di rottura rispetto alla pittura e l'introduzione di una metodica mentale di origine Marchell Duchamp, l'anti-pittura, l'anti-pittura.

Francesco Vincitorio: 00:24:47 Certo, certo.

Toti Scialoja: 00:24:48 Ma vedi, l'anti pittura di Duchamp era una cosa sua privata, questo aristocratico che fa il pittore molto ben retribuito, poi si sazia della pittura - solo nel momento intellettuale diventerà un giocatore di se stesso, di scacchi, con se stesso non fa più nulla, vive in modo parassitario come un angelo, come un uccello in una voliera. Insomma, è un caso personale, particolare il suo. Che nel momento in cui lui invece diventa un maestro, lui è un cattivo maestro, perché non era un maestro, lui era uno, un bizzarro, un suo spirito, aveva un suo spirito. Ma considerare un maestro nella sua anti-pittura e nella sua interiorità è anche ridicolo, perché l'interiorità poi ce l'aveva lui, ma gli altri non ce l'avevano al suo livello. Bisogna essere veramente degli intellettuali e non si può, non ci si può improvvisare tali. Comunque per finire il racconto - io quando vidi questa mostra dalla Martha Jackson, i new media con un enorme successo e poi arrivarono voci sinistre che, dicevano che Sidney James che aveva gli otto, che io amavo, de Kooning, Rothko eccetera, anche Pollock, tutti, tutti i migliori otto pittori, li aveva mollati tutti e otto per entrare nell'interesse dei Pop. Istigato anche da una sua amica mi dicevano - dei Pop come Rauschenberg, come Jasper Johnes come Lichtenstein e altri. Quindi, proprio lui mise alla porta questi suoi pittori e cominciò a interessarsi alla Pop. Quindi, a tutto un movimento di reazione all'arte, come profondità di pensiero, come impegno spirituale, come dedicazione proprio dell'esserci all'essere direi, per invece così trovar gusto a un'arte celebrativa, di divertimento, un'arte spettacolo - un po' televisiva insomma, un'arte televisiva, in cui si celebravano i fasti, i fasti del cittadino medio americano con le sue réclame, la sua pubblicità, la sua volgarità, la sua violenza eccetera. E quindi era proprio il contrario quello che io pensavo che fosse, che dovesse essere la pittura.

Francesco Vincitorio: 00:27:28 In fondo poi lui, in fondo hai sempre avuto un segreto diciamo amore, tutti questi amori artistici quello dell'insegnamento o sbaglio?

Toti Scialoja: 00:27:39 Sì sì certo, l'insegnamento fu molto importante per me perché proprio nel periodo di solitudine maggiore - in cui la pittura che io amavo era completamente sconfessata da tutti, io in Italia ci stava un po' così, stavo un po' in affitto. Trovai proprio nella frequentazione dei giovani questa possibilità di creare una mia isola, una mia isola di cultura. Un'isola di passione che trasmettevo a questi ragazzi, che poi magari mi tradivano perché Pascali che era un mio fedelissimo allievo, appassionatissimo, che poi divenne… entrò nella Pop anche lui, non può reggere la moda. Allora io ruppi con Pascali anche in modo violento.

00:28:32 Ecco, assumi addirittura questi atteggiamenti violenti con questi allievi che passavano al nemico?

Toti Scialoja: 00:28:39 Sì sì sì, li ho avuti. Io con Pascali ho avuto, ho avuto una giornata, una giornata di scenata, gli ho fatto una scenata che è durata una giornata. La mamma mi telefonò il giorno dopo, raccomandandosi che io fossi più buono con lui perché era stato sconvolto, non aveva chiuso occhio tutta la notte eccetera. E dissi, "Signora mi dispiace, suo figlio mi sta perdendo per me e secondo il mio punto di vista, quindi io ho cercato di mettere un freno a questa sua volontà di conformismo alla moda". Capisco che è molto difficile perché un giovane vuole esporre, vuole vivere e vuole avere successo nel suo momento, quindi è difficile dire a un giovane fatti frate, ecco è difficile...però ...

Francesco Vincitorio: 00:29:31 A 74 anni - ed io sono vicino come tu sai - non ti è venuto mai un pochino il sospetto che in fondo eri un padre un tantino possessivo e che quindi in fondo volevi che facessero quello che tu hai fatto? Lo dico perché qualcosa, lo dico a me stesso, ecco.

Toti Scialoja: 00:29:49 Sì, ma io non penso questo perché io non insegnavo ai miei ragazzi la mia pittura, io insegnavo ai miei ragazzi il mio pensiero sulla pittura. Cioè, su tante pitture possibili. Io avrei accettato qualunque cosa purché fosse pittura. Io cercavo sempre il fatto della qualità, mai fatto di uno stile. Io non credo nello stile, credo nel metodo, in un metodo. Io avevo un metodo e per me la pittura era un fatto di pensiero, che si fondava su certi acquisizioni assolute che erano la pittura di Cezanne, il Cubismo, l'Espressionismo astratto. Delle verità, delle verità che hanno svelato l'anima del secolo, fino a quello che l'uomo oggi, l'uomo moderno, quello che l'uomo può pensare spazialmente, spazializzando il suo pensiero. Questi erano dei principi. Come, dopo Kant non si può tornare prima di Kant. Dopo di Kant vai avanti, non puoi tornare indietro, è così.

Francesco Vincitorio: 00:30:58 Non può essere ultima pittura.

Toti Scialoja: 00:30:59 Io poi sono molto rigoroso nel culto dei mezzi espressivi, per me è arte, quella che...La più fedele ha il suo mezzo espressivo. Quindi, la vera poesia è quella che crede nella parola e la vera musica è quella che crede nel suono e così via. E quindi, la vera, la vera pittura è quella che crede nella pittura. Cioè nell'organizzazione di forme linee e colori su di una superficie, questa è la pittura. Se vuoi fare la scultura, allora crea una tridimensionalità, se vuoi fare architettura crea una dimensione in cui si puoi vivere, se vuoi fare il teatro crei delle apparizioni di momenti scenici, di scenografia, di apparizioni di attori di situazioni esistenziali. Però, sia ben distinto. Questo si chiama pittura, questo si chiama teatro, questo si chiama scenografia eccetera.

Francesco Vincitorio: 00:31:58 Da parte di un maestro di scenografia come te, lo capisco e d'altra parte è talmente vero quello che tu dici. L'ultimo innamoramento non di Goya ma del pennello di Goya.

Toti Scialoja: 00:32:08 Sì è vero, fu quello sì. Io ho avuto diversi momenti chiave della mia pittura, sia momenti che ho risolto - con una forza interna mia, trovando in me certe risorse, sia risolvendolo come incontro anche abbastanza allucinato con altri, altri artisti, ecco. Goya è stato un momento mio di allucinazione. Prima di Goya ho avuto un altro momento di allucinazione - quando andai a Mosca nel '75 ero ospite di un mio carissimo amico, compagno di scuola, di sport che era il povero Piero Vinci, che quando poteva mi faceva stare con lui nella sua ambasciata a fargli compagnia, per un mese o due mesi quanto volessi, quando sia a New York che a Mosca. Allora io andai ospite suo all'ambasciata, ed ebbi solo per questo privilegio enorme e non turistico di avere contatti con i pittori del dissenso a Mosca - cosa che era anche un po' pericolosa per i pittori, ma io riuscì ad avere questo contatto, perché la moglie di Piero Vinci, Maria Laura, donna eccezionale di enorme vivacità ed enorme spiritualità, era appassionata di questi pittori e scultori che cercava di aiutare gli frequentava. E allora io ebbi questo contatto con questi pittori e fui travolto, fui sconvolto dall' ammirazione e dalle emozioni di vedere questi disgraziati, che non potevano esporre, non potevano vendere, non potevano avere il minimo nome sulla stampa, non potevano vivere in poche parole come artisti che si limitavano a lavorare - nelle loro stanzette minuscole - con quadri piccoli perché non c'era posto per quadri di più di 100 punti. In un angolo della stanza, un cavallettucio e i migliori quadri. Si mettevano a lavorare senza poter avere i colori e le tele perché questi erano dati soltanto per l'assegnazione sindacale. E questi non erano iscritti al sindacato, perché non erano accettati dal sindacato, in quanto erano pittori semi-astratti non dico astratti, ma insomma non erano proprio figurativi, celebrativi fotografici, realismo socialista, no. E allora, questi poveri martiri - personaggi proprio a Dostoevskij si limitavano a lavorare. E non erano neanche premiati, perché come puoi fare dei bei quadri in queste condizioni, senza avere scambi, senza vedere la qualità di altri quadri, altri pittori, senza comunicazione col mondo, come puoi farmi la bella pittura. Facevano della brutta pittura, però ci credevano e l'aprivano contro tutto e tutti, sfidando tutti, mantenuti dalle loro mogli che insegnavano cose, cose inverosimili, cose di una drammaticità che non si può neanche immaginare, Un occidentale non riesce a concepire una cosa così. Allora io con una tale emozione dissi, ma io che sto facendo? Che cosa sto facendo? io devo tornare proprio ad una pittura che sia proprio quella che dicevo, per ritrovarci dentro la mia anima intera e cercare di fare la più generosa possibile e darmi tutto per la pittura. A quel punto mi ero un po' arroccato - in una forma un po' più concettuale di quantità, ritmiche verticali che davano il senso del tempo la scansione temporale però era tutto un pochino più più raffreddata.

Francesco Vincitorio: 00:36:07 Sentimentale.

Toti Scialoja: 00:36:07 E più sentimentale - c'è un silenzio intorno alla pittura. Ecco allora mi ricordo quando tornai da Mosca e tornai a cercare di fare i quadri in cui ci fosse questa dichiarazione di principio in fondo, il coinvolgimento.

Francesco Vincitorio: 00:36:23 Questa vocazione di esprimere.

Toti Scialoja: 00:36:24 E allora poi ho fatto una serie di quadri - usavo delle velature, usavo di nuovo il pennello, però non avevo ancora il coraggio di muovere il pennello.

Francesco Vincitorio: 00:36:33 Lo castigavi..

Toti Scialoja: 00:36:33 Lo castigavo con delle discese dall'alto in basso, secondo dei canoni di verticalità eccetera. Poi invece questa però, questa ansia di tornare alla pittura come propria espressione diretta del proprio animo l'ho vinta, l'ho avuta a contatto con Goya. Goya sì, il pennello dici industrialmente, però il pennello, il pennello di Goya mi ha fatto capire come il movimento del pennello crea una figura, può creare una figura, può creare un organismo dentro al ritmo del pennello e non fuori. Completamente posseduto da questo ritmo, questa coincidenza assoluta del fare, del foglio, del movimento del gesto del polso, del braccio, dell'avambraccio del gomito che crea poi questa figura, che in Goya era che non so un mantello, un capellone nero, una maschera, un volto. In me erano dei movimenti, delle tensioni, dei grumi, dei percorsi di pennello ma era lo stesso. Sempre sono figure no, queste cose?

Francesco Vincitorio: 00:37:57 In fondo, anche qui viene fuori questo tuo grande amore, e che per una volta era stato definito espressionismo astratto, no? che è stato un po il tuo segno. Però, avviandoci al tempo tiranno, io noto in questo tuo racconto che abbiamo fatto un po' così a spizzichi, un po' di questa tua ricchissima vita. Spesso questo tua delusione, questo ricominciare per delle delusioni e io ci metterei anche in fondo il ritorno alla poesia tua. Hai detto all'inizio che a un certo punto avevi capito che in fondo non era la tua strada. Però, a un certo punto, nel tuo percorso e io credo che forse è stata anche rilevata, in fondo nasce un po' da una certa tua delusione. Questo tuo bisogno ad un certo punto di tornare quasi a delle filastrocche.

Toti Scialoja: 00:38:52 Ma quella è stato una cosa curiosa. Io cominciai a scrivere queste filastrocche in modo completamente automatico, proprio senza volerle scrivere, così mi venivano spontanee. Siccome avevo un nipotino di 6 anni a Roma, scritte queste 5, 6 di queste filastrocche, così, così proprio infantili e pensai di mandargliele per lettera con dei pupazzetti in accompagnamento ed ebbi questo gran successo. Poi, presso il bambino, poi presso i familiari del bambino e poi piano piano la cosa si è diffusa, questa idea questa buona novella, questi nonsense tipo Lear o Carroll, che fiorivano presso lo studio di un pittore. Ma se analizzo un po' perché avessi bisogno di scandire parole italiane - perché io vivevo in Francia, Parigi, no? e parlavo francese come italiano. Addirittura pensavo in francese e sognavo in francese. L'ultimo anno, quando veniva un italiano a trovarmi a studio - non è che faticassi a parlare italiano - ma insomma sentivo una certa durezza, non scioltezza, non abbandono come quando parlavo in francese. Allora, questo fatto deve avermi allarmato oscuramente, e quindi io ho avuto bisogno di sillabare delle parole in lingua italiana, zanzara - delle parole insensate, delle parole facili, tipo tamburo così. E allora sillabando queste parole poi venivano fuori delle assonanze e delle alterazioni. Io poi avevo un ricordo del mio amore infantile per queste nonsense, che erano tradotti molto bene in italiano nell'Enciclopedia dei ragazzi, che io amavo molto da bambino questi nonsense, anche le illustrazioni fantastiche di Lear erano ecco. E allora nacque - adesso, io poi, dopo questo esercizio automatico di poesia come il suono, come sonorità l'ho sempre conservato. Sono dieci anni che non scrivo più poesie per l'infanzia, scrivo poesie anche tragiche e molto drammatiche. Però, tutto questo nasce spontaneamente. Evidentemente io a vent'anni volevo fare il poeta, adesso la poesia mi ha aggredito, mi ha attraversato, mi sta attraversando. Io faccio quello che vuole la poesia, non faccio, non dico "Adesso Voglio scrivere una poesia con questo metro con questa quantità, con questo numero di versi" , no, mi viene fuori questa poesia. Adesso sono dieci anni che scrivo delle poesie in quartine doppie, come se una quartina specchiasse l'altra a mo' di specchiamento per partire. È una forma di quasi dialettica, domanda e risposta, non lo so. Oppure, prosecuzione del tempo dello stesso tema, ecco secondo un certo flusso. E non posso farne a meno, scrivo sempre delle partite doppie. Adesso, io so che ad un certo punto arriverà il momento, per cui non le scriverò più. Ma adesso per ora le scrivo, come vuole, come vuole.

Francesco Vincitorio: 00:42:15 L'arte.

Toti Scialoja: 00:42:17 Come vuole questa poesia.

Francesco Vincitorio: 00:42:17 Ci leggi una poesiola, tanto che nella tua voce rimanga.

Toti Scialoja: 00:42:22 Sì, io vi leggo una poesia, però che è ormai molto, molto antica. Che fai. Maggio piovendo con l'oro nei ruscelli? Che fai pioggia, poggiando le gocce sui cancelli? Che fai poggio, reggendo le nuvole e i castelli? Che fai reggia raggiando sotto un volo di uccelli? Che fai raggio spiando la ruggine e i coltelli? Che fai in spiaggia giocando con la spuma a brandelli? Che fai faggio filtrando il sole sugli anelli? Che fai saggia dormendo coi ragni nei capelli?