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Luciano Lucignani: [01:00:17:22] Sono stato cercato? Non lo so, non mi hanno scritto, perché non ho trovato nessuna lettera. Fatto sta, che, al ritorno a Roma, seppi da un piccolo avvenimento quello che era accaduto. Il piccolo avvenimento è questo: incontrai, in corso Umberto, Renato Guttuso - questo l'ho anche scritto in occasione della recente scomparsa del pittore - con Guttuso eravamo degli amici fraterni anche se non ci si vedeva molto spesso. Lui aveva disegnato i costumi per lo spettacolo mio, il primo spettacolo importante - o il secondo perlomeno visto che devo considerare anche quello di Firenze - che era Madre Coraggio e i suoi figli di Brecht, fatto a Roma. In quell'occasione io ero stato nel suo studio, lui mi aveva spiegato il suo modo di dipingere, mi aveva fatto vedere i suoi quadri, avevamo parlato di pittura in genere. Insomma, tra noi c'era un rapporto abbastanza simpatico e quando ci incontravamo ognuno dei due si precipitava addirittura nelle braccia dell'altro con abbracci fraterni e… “Bisogna che ci vediamo”, “Telefonami”, “Ti telefonerò”, “Come vanno le cose”, eccetera eccetera, i discorsi soliti che si fanno fra persone che si conoscono, si stimano e si apprezzano vicendevolmente. Camminavo per il corso - stavo dicendo - e vedo venire verso di me Renato Guttuso: il primo moto istintivo fu quello di andargli incontro allargare le braccia e abbracciarlo, però vidi che il suo viso era diventato come di pietra, i suoi occhi guardavano nella mia direzione ma come se io fossi trasparente, guardavano oltre me. Forse guardavano qualcun a… qualcun altro, o forse voleva - come suppongo - farmi capire che non aveva nessuna intenzione di salutarmi. E allora capii che doveva essere successo qualche cosa, telefonai ad altri che conoscevo, Tommaso Chiaretti, Aggeo Savioli, persone che erano stati i miei colleghi all'Unità, e seppi così che le persone che non avevano ritrattato la firma messa sotto quel documento erano state considerate fuori del partito, non dico espulse perché sarebbe stato grottesco espellere qualcuno che aveva detto già che voleva, in qualche modo, come andarsene, ma insomma comunque erano considerati fuori del partito. E passai, devo dire qualche settimana in grave crisi perché l'appartenenza a un partito politico, come a un club, come… forse come anche a una squadra di calcio, come tifoso - non lo so perché non lo sono mai stato - è qualche cosa che lega come una famiglia più grande. Ed io ebbi l'impressione che improvvisamente mi mancassero dei vincoli, fra l'altro tutti i miei amici erano lì, le persone che vedevo fuori delle ore in cui stavo in casa con mia moglie, erano gente che lavorava nell'Unità o amici di persone che stavano nell'Unità. E improvvisamente non ebbi più di questi amici, quindi non scrissi più sul giornale, la mia collaborazione con gli Editori Riuniti - che allora si chiamavano, mi pare, Edizioni di cultura sociale, no ma c'erano già anche gli Editori Riuniti sì - si interruppero, la rivista, che si chiamava Arena, non uscì più, arrivò - era arrivata - a 13-14 numeri, mi pare, non di più, e io cominciai un… un nuovo tipo di lavoro, non continuai a fare il giornalista.