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Luciano Lucignani: [02:00:18:04] A un certo punto il direttore del… di… di questo teatro, che era Carmelo Zambardino, attuale direttore del Sistina a Roma, mi disse: "Però non c'è nessun italiano, però…". E allora cominciai a cercare, quando lo stavo ancora organizzando, un atto unico italiano, che fosse vicino al clima, così, di umorismo un po' intellettualistico anche, che… che connotava gli altri atti unici. E Carlo Mazzarella, mi ricordo, mi disse di leggere un atto unico di Ennio Flaiano pubblicato sul Mondo, l'atto unico si intitolava… dunque La donna nell'armadio. Lo lessi e lo trovai perfetto proprio per noi, era la storia di un poliziotto che va a indagare in casa di un poeta, lo sottopone a un lungo interrogatorio per un crimine che lui non ha compiuto e che gli dimostra che non ha compiuto, perché nella stessa ora stava ammazzando una ragazza il cui cadavere è nell'armadio. Glielo fa vedere e il poliziotto dice: “Ah va beh, ma allora, lei è innocente, grazie, arrivederci, mi scusi tanto” e se ne andava. Quello che era divertente era naturalmente come si arrivava a questa situazione. Allora Ionesco, Beckett, Adamov, Genet, tutta questa avanguardia francese era molto nell'orecchio, così, del pubblico italiano, e a un certo punto io decisi di sostituire Ionesco con Flaiano. Si equivalevano, secondo me, anzi forse Flaiano era anche più divertente e anche più acuto in quello che metteva in scena. Gli chiesi l'autorizzazione, lui… nicchiò un pochino, poi me la concesse. Dopodiché scoprii il carattere di Flaiano, che era quello di una volubilità estrema. Mi aveva concesso l'autorizzazione, diciamo, la domenica, che ero andato a trovarlo a casa, il martedì gli mandai due righe perché la cosa fosse formalizzata - il direttore del teatro aveva bisogno di un pezzo di carta, come si dice, da portare alla società degli autori - e Flaiano si rifiutò di firmarla. Non solo, ma il giorno dopo mi arrivò una lettera in cui diceva: “Guarda, gli attori sono bravissimi, son sicuro che tu anche farai un eccellente spettacolo, a me sembra che la cosa che ho scritto sia un'assoluta idiozia, ti pregherei di non farla, mi… mi fai proprio un grande dolore. Grazie, scusami, ciao, arrivederci”. Stavamo naturalmente nelle peste perché ormai avevamo già cominciato le prove, gli attori erano stati scelti eccetera. Allora andai di nuovo a trovare Flaiano, gli spiegai che invece non è vero l'atto unico era molto bello, che i nostri attori lo avrebbero recitato al meglio ma che comunque nulla di quello che noi avremmo voluto fare sarebbe stato all'altezza di quello che lui aveva scritto. Non erano incensamenti, lo pensavo, era un bellissimo atto unico, scritto sulla vena di quella… gusto paradossale che Flaiano ha sempre avuto. Soprattutto nelle cose brevi perché, secondo me, lui invece non era adatto alle lunghe distanze ma comunque questo è una cosa che non dice nulla contro… contro di lui. Ci sono scrittori come Maupassant, per esempio, o come Cechov, grandissimi nei racconti e più deboli nei romanzi, per esempio. Cechov, tanto è vero, ne ha scritto, credo, uno solo, Caccia Tragica, che poi è un lunghissimo racconto, più che un romanzo. Comunque sia, Flaiano si rabbonì, accettò. Mi disse: “Va bene, insomma fatelo, capi… non vi voglio mettere in difficoltà”, era anche stato molto rinfrancato da quello che io gli avevo detto. Noi ripigliamo le prove, passano due o tre giorni e arriva un telegramma: “Ti riterrò personalmente responsabile di qualunque cosa, ti prego di smettere, mandate via le prove, pago io i danni, quello che volete, eccetera eccetera”. E quindi altra nuova… Dicemmo: “Vieni a vedere lo spettacolo, vieni a vedere le prove forse ti… ti convinci”. Lui venne a vedere le prove, si divertì, come se la cosa fosse stata scritta dall'altro, applaudì, salì in palcoscenico e disse "Ragazzi miei, che vi devo dire? Siete talmente bravi che dirvi di no sarebbe un peccato”. Questo fu il nostro viatico e arrivammo alla prima rappresentazione. Lui venne alla prima rappresentazione, il suo atto unico era all'inizio del secondo tempo, lui rimase tutto il primo tempo. All'inizio del secondo tempo la… il Teatro Arlecchino - che ora si chiama Flaiano in onore suo - è talmente piccolo che basta stare in palcoscenico e guardare un momento attraverso il sipario, quello che succede in platea si vede. Io vidi che Flaiano se la squagliava, per dirla in espressione forse un po’ dialettale ma, comunque, efficace. Dissi: “Flaiano guardate che se ne va”, avvertii gli altri. Siccome c'era presente anche Mazzarella, dicemmo: “Mah, Carlo vedi se ti riesce di riportarlo in teatro”, ma Flaiano si era allontanato già da un quarto d'ora, Mazzarella lo andò a cercare in giro, lo ripescò nientepopodimeno alla stazione Termini, che stava lì che passeggiava avanti e indietro nervoso fumando, anche lui, sigarette o sigari toscani. Lo prese, presero un taxi, tornarono in teatro, mentre noi stavamo già recitando - che avevamo cercato di tenere l'intervallo il più lungo possibile - stavamo già recitando il suo atto unico, che finì con una frenesia di applausi, lui salì in palcoscenico, venne a ringraziare, piangeva, era felicissimo e mi ricordo che da quel momento la nostra amicizia fu straordinariamente rinsaldata.