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Luciano Lucignani: [02:00:27:07] Ennio la scrisse e puntualissimo ce lo mandò a Siracusa - mentre noi stavamo rappresentando l’Orestiade - e mi ricordo ancora che siamo tornati a Roma in una Topolino - la Cinquecento - guidata da Franco Giacobini, piena di bagagli e nella quale Cinquecento, insieme a Giacobini, c'eravamo Gassman ed io. Se ci penso, alla sola idea di mettere tre persone, di cui uno come Gassman, abbastanza grosso, qualche valigia e un paio di borse - che era tutto quello che noi avevamo - dentro una 500, mi pare un miracolo. Comunque da Siracusa, in questo modo, arrivammo fino a Roma e passammo la notte con una lampada tascabile, tenuta in mano di chi fra di noi leggeva, leggendo il Marziano a Roma. Euforici, arrivammo a Roma la mattina presto, andammo a prendere i nostri cappuccini con le bombe che sono una… una delle cerimonie tradizionali, perlomeno della gente di teatro, e decidemmo che finalmente avevamo l'asso nella manica, il Marziano a Roma sarebbe stato rappresentato. Andò un po’ meno facilmente di come ci aspettavamo, ma andò, Vittorio lo mise in prova. Vennero a Milano, al Lirico, dove recitavamo, teatro quanto mai inadatto a una cosa tutta sussurrata, detta… fatta di piccole frasi, di piccoli stati d'animo, tutta crepuscolare così. E aveva costruito una scena che sembrava Roma, fatta da Mario Chiari - con via Veneto, il Pincio, le altre cose – e mi… stavamo quasi alla prova generale, Flaiano era molto contento, era venuto accompagnato da due suoi cari amici, Vincenzo Talarico e Sandro De Feo, che erano anche molto amici miei e di Vittorio. Una serata, quella della prova generale, molto euforica, la sera dopo c'è la prima. Ero un po' preoccupato, devo dire, perché mi pareva che qualche cosa non sarebbe stata afferrata. Poi a Milano, fare una cosa intitolata Un marziano a Roma, non… i milanesi sono forse come i Romani, forse come qualunque altro pubblico, un tantino provinciali, si interessano alle cose che riguardano loro direttamente. Fatto sta che cominciammo ad andare in scena e alle prime battute e alle prime canzoncine che c'erano in mezzo - la musica era di Guido turchi - il pubblico comincia a rumoreggiare. Flaiano, che era di un'ingenuità, se si vuole, perfino superiore alla mia, sentiva questi mormorii, queste cose, e li scambiava per consensi che non era… che non potevano essere trattenuti. Mi venne in quinta, da me, che dovevo entrare… io fra l'altro recitavo in quello spettacolo, facevo una parte che era, diciamo, l'imitazione... un intellettuale che sarebbe stato Sandro De Feo, parte molto rischiosa, anche, come dirò fra qualche secondo. Comunque venne in quinta da me, che ero pronto per entrare in scena, e mi disse: “Mi pare che teniamo il gatto per la coda”. Era convinto. Secondo me tenevamo qualche cosa per la coda ma era una tigre, non un gatto, come di lì a poco infatti si dimostrò. Già avevano cominciato a rumoreggiare e io dovevo entrare in scena, in una scena che rappresentava un salotto di intellettuali che hanno invitato il marziano e lo prendono in giro sfottendolo, domandandogli delle cose con quell'aria di snobismo, di superficialità, di prendere in giro sempre tutto il mondo che è tipica, almeno secondo Flaiano, in questa scena qui, di questi intellettuali. C’avevo una ba… dovevo dire una battuta, che era quella che precedeva la mia uscita di scena, che diceva esattamente così - la dovevo dire a Vittorio che mi veniva incontro domandandomi il perché de… della cosa - io dovevo dire esattamente: “Beh tutto questo mi è venuto a noia, sapete che vi dico? Adesso mi alzo e me ne vado”. Dato i rumori che sentivo in platea, mi pareva che una battuta di questo genere avrebbe… era pericolosa perlomeno, e allora cercavo di fare il possibile per attirare l'attenzione di Gassman in scena e non dirla. Ma lui, che quando comincia a recitare diventa una locomotiva ed è pronto a spazzare qualunque ostacolo incontri sulle sue rotaie, vedeva che io non dicevo quello che dovevo dire, che anzi mi alzavo un po' titubante, non sapendo se dirla o non dirla, mi venne vicino e, schizzandomi così, de… de… de… de… della saliva, addirittura, in volto, mi guardò dicendo: "Ma lei perché si alza?” mi dava del lei come personaggio “Lei perché si alza, che cosa vuole fare? Me lo dica, mi dica cosa vuole fare” perché vedeva che io esitavo. Io a un certo punto, messo alle strette dissi: "Beh, la figura di… di… di essere uno che si dimentica le battute non la voglio fare” e dissi: “Va beh, dato che lo vuole sapere, le dirò una cosa: che tutto questo mi è venuto profondamente a noia, e che io adesso me ne vado”.