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Luciano Luisi: [00:40:59] Ma ho detto l'ulivo, e anche se non è la prima, e tornerò poi invece su una motivazione più generale di questo libro, questo Ulivo mi ricorda una presenza che è abbastanza assidua, in questo mio volume ormai quarantennale, e cioè quella del padre. Ve ne ho parlato all'inizio, ma mi sono stupito, in fondo, rileggendolo perché quando si è bambini, e ci viene chiesto chi si ami di più, probabilmente si dice sempre la mamma, e invece in me, così con… da adulto la figura del padre è cresciuta, per cui ci sono più testimonianze per mio padre che per mia madre, probabilmente anche perché è morto giovane, aveva 57 anni. E… faccio un salto di tempo indietro e torno a quel libretto che ho citato prima, Sere in tipografia, dove c'erano diciotto poesie per la morte del padre. Vi torno, perché l'Ulivo che ho citato mi riporta al padre, e ve lo leggo dopo, perché è più recente ma sempre sulla sua figura. Ecco, in queste… queste diciotto poesie, intitolate Messaggio a mio padre sono parte riflessioni sulla morte, parte sulla… sulla sua vita di uomo del Sud, che aveva, come vi dicevo, conquistato un'altra posizione, un'altra visione della vita.
Ora sei calmo, finalmente, hai pace.
So che sei morto, non ho più paura
che tu debba morire, non ho più
paura del tuo cupo, lungo rantolo
che dilatava i muri della stanza,
del tuo respiro che chiedeva aiuto
al fiato del mio petto,
del grido dei tuoi occhi a supplicarmi.
Sono stanco, lo sai. Non ho paura
ormai d’addormentarmi,
di piegare la testa sul tuo letto,
di mescolare alla tua larga quiete
disumana, il mio sonno affannato.
E non ho più l’angoscia
d’esserti inutile come un nemico:
so che sei morto, hai pace,
è tornato il silenzio.
E dalla stessa raccoltina:
Che senso ha avuto la tua vita?
Amara come è stata la tua
meridionale rassegnazione, il tuo
mortificato piegare il capo
ai giorni senza luce.
Ti appoggiavi all'orgoglio
della tua antica razza contadina,
alla raggiunta fierezza borghese
che non si logorava come i gomiti.
Nelle grigie serate
l'architetto eri tu di impossibili castelli
e noi che, pieni d’occhi, ascoltavamo
ci sentivamo col vestito a festa.
Le tue rare speranze
squillavano soltanto sui biglietti delle tombole
ma tristi e irraggiungibili
come le veneri dei camionisti.