Trascrizione
Francesco Vincitorio: 00:00:04 Ecco come premessa, anche così tecnica, noi dobbiamo dire, il giorno di oggi, che è il?
Ruggero Savinio: 00:00:12 19.
Francesco Vincitorio: 00:00:15 19 Maggio 1988, qui abbiamo Ruggero Savinio nato nel 1934, ecco questi sono i due dati fondamentali. Allora, entrò subito in tema, Ruggero: io credo di aver avuto la fortuna di aver visto forse proprio la tua prima personale lì alle Ore - se non ricordo male, proprio ero la tua prima mostra tua personale, no - e anche quei premi del disegno che loro facevano - che Fumagalli faceva, e quindi, devo dire che il mio primo impatto con te è avvenuto proprio in quella circostanza, è lì che ti ho conosciuto. Dopo d'allora ti ho seguito - per quanto mi è stato possibile- ma direi abbastanza fedelmente, cioè sistematicamente cosa che tu stavi facendo, e anche ti ho letto - tu sei uno di quegli artisti che ha la fortuna di aver la capacità di dire cose estremamente pregnanti - quindi ti ho letto sempre con molta, molta attenzione devo dire - ogni volta che mi capitava il catalogo, il tuo scritto io ti ho letto seguendoti proprio passo passo. Oggi siamo appunto all'88 - quindi un arco che comincia a essere piuttosto lungo, anche se sei così giovane - ma in fondo è un discorso veramente, che comincia avere una sua consistenza. E ti dico subito che cosa è che ho dentro, come punto interrogativo che mi pongo: io ho avuto la netta percezione che nel tuo lavoro c'è stato sempre un.. Tanto più che uscivamo dal discorso Informale, in quegli anni, il tentativo di far nascere una forma, però una forma che tenesse conto di tutta l'esperienza che era stata l'Informale. Tant'è vero che poi tu l'hai anche teorizzato, questo discorso di fare emergere una forma da questo caos - mettere chiarezza un po' da questo caos, che era stato il discorso dell'Informale, senza perdere lo spessore, appunto dell'Informale. E questo, è stato un processo devo dire molto lento. Io ho avuto la percezione di un processo non a scoppi, ma progressivo, lento, faticato. Proprio in cui tu cercavi sempre di non perdere questa eredità dello spessore. E questo processo è andato avanti secondo me, con un punto che ha raggiunto punte di altissimo livello nel discorso di fine anni '60, primi anni '70. C'è stato questa specie di punto di raggiungimento - mi è sembrato proprio in questo discorso. Poi, io ho avuto la percezione - che con la fine degli anni '70 e con gli inizi degli anni '80 c'è stato come un diramarsi, come un po' - non dico tentare altre strade - ma consolidarsi questo discorso, ma come se a un certo punto tu cercassi qualche cosa, cercassi qualche cosa oltre - che nelle ultime mostre che ho potuto vedere, e io ho visto quella alla Giulia, l'ultima qui a Roma della Giulia, era come se a un certo punto il discorso avesse cominciato a mutare, un po' il tuo discorso. E io mi sono ricordato, siccome mi intriga questo fatto di certi tuoi scritti, in cui tu quasi preannunciava certi interrogativi sulla pittura, su cosa deve essere la pittura. Ecco, la domanda che ti faccio - molto amichevolmente -erano sensazioni vere, cioè giuste, ho colto un tuo processo e certi tuoi problemi che nascevano, oppure sono fuori strada, correggimi?
Ruggero Savinio: 00:04:07 Direi che è senz'altro è la sensazione giusta, tra l'altro è la sensazione di una persona, che come tu hai detto, mi segue da tempo, più o meno quasi dall'inizio. E quindi che ha perfettamente davanti agli occhi l'arco, se si può chiamare così, del mio lavoro. Effettivamente, quello che tu, che tu consideri un cambiamento di rotta o comunque un mutamento rispetto al mio lavoro precedente, più o meno avvenuto intorno alla fine degli anni '70, ma direi meglio all'inizio degli anni Ottanta, secondo me è un mutamento forse più apparente che reale. Io sono un pittore che ha sempre lavorato con il dubbio, anzi forse anche con l'assillo di fare un lavoro diciamo contraddittorio, poi tutto sommato mi devo accorgere, nonostante tutto che c'è un filo conduttore. L'apparente scarto, dico apparente perché appunto è uno scarto che riguarda l'immagine, cioè, mentre prima l'immagine era più impigliata nella sua materia - è quello che tu hai, quello a cui tu hai accennato prima - cioè un mio interesse a rimanere ancorato in una materia che tu hai chiamato Informale, ma effettivamente che è una materia, diciamo così pittorica, cioè una materia che mantenga il suo spessore materico e che non sia smentita dal dall'immagine. Prima era, era diciamo l'immagine era più confusa in questo groviglio materico. Adesso dall'inizio ho notato che l'immagine si è più precisata, però non è venuto meno questo, questo lavorio, dicevo non è un'immagine che si dà come pura immagine. Per questo non vorrei fare, ma vorrei ancora dare un'immagine che conservi tutto il tempo della sua emersione. Cioè, il tempo della sua emersione - da quello che possiamo chiamare caos o diciamo, sì groviglio materico, al suo darsi come immagine, però un darsi abbastanza fragile, abbastanza precario. A me quello che interessa è un'immagine che conservi il tempo della sua, del suo percorso diciamo così.
Francesco Vincitorio: 00:06:13 Io ricordo che tu appunto - io l'ho citato l' Informale - ma mi ricordo che tu in fondo invece parlavi proprio di una dialettica, se così possiamo dire, tra natura, quindi che era il caos per intenderci e invece cultura che era la forma, no? Sto semplificando ma per darti, per dirti parametri che io ricordo erano un po' i due modi nei quali tu ti muovevi - con molta lentezza in questo. Ecco, significa che questo definirsi maggiormente dell'immagine sta prevalendo la cultura sulla natura?
Ruggero Savinio: 00:06:52 Direi di no, cioè mi sembra che questa dicotomia - tra natura e cultura possiamo chiamare anche tra il linguaggio e quello che linguaggio non è perché poi è verbale - è una dicotomia che a me sembra che debba essere in qualche modo ricomposta, ma non in una sintesi. Cioè, mi sembra che nella pittura esistono due momenti, esiste il momento...E la pittura comunque è un linguaggio; il linguaggio ha in sé il momento diciamo così simbolico, cioè dove il linguaggio è più depurato e contiene anche tutta una zona d'ombra, cosa che sperimentiamo anche nella nostra vita, ora la pittura secondo me è un linguaggio che non deve recidere insomma le sue origini, diciamo così mitica la sua origine nell'ombra e nel caos del pre-verbale. Il linguaggio della pittura è un linguaggio che deve fare i conti con i suoi limiti, questo penso in questo momento e forse ho sempre pensato, anche se in un modo diciamo più oscuro, ma allora mi interessava appunto il rapporto con l'Informale come rapporto storico, di un pittore che usciva da una situazione diciamo così, determinata di questo tipo. Dopo mi sembrava aver individuato questo dissidio diciamo così tra...nell'esito tra natura e cultura. Adesso parlerei piuttosto, all'interno del linguaggio, di un un...sempre di antagonismo tra linguaggio simbolico e linguaggio invece più legato alle sue origini non linguistiche insomma.
Francesco Vincitorio: 00:08:19 Corrisponde anche - molto spesso questo accade - a uno sviluppo o a un processo che è avvenuto anche per quanto riguarda te e la vita, te e i tuoi rapporti con la vita questo?
Ruggero Savinio: 00:08:36 Ma, direi di sì. Può darsi che sia anche questo avvenuto. Credo che in un artista insomma, tutto sommato non si possano separare le così...cioè, solo lavorare nel campo dell'arte della pittura, specie quello che mi capita come uomo e come persona. D'altra parte, credo che anche nella vita insomma, le giustificazioni sono sempre a posteriori, cioè noi viviamo, ci lasciamo andare a certi avvenimenti a certi, certe cose che ci pigliano in un flusso, dopodiché magari ci ragioniamo sopra a quello che ci è capitato. In pittura avviene anche così, cioè le giustificazioni sono a posteriori. Il fatto di sentirmi legato e di non riuscire a superare un momento, che è il momento materiale del farsi, della pittura forse è una cosa che ha a che fare anche con le mie ragioni psicologiche, non so può darsi, quindi anche con le mie ragioni vitali. Il fatto è che penso che la pittura sia qualcosa che possiamo considerare in questo, in questo modo, cioè sotto questo aspetto. Non penso che la pittura sia un linguaggio simbolico. Credo che il linguaggio simbolico sia della pittura, sia qualcosa di tendenziale ed utopistico vorrebbe dire considerare la pittura come icona - ora l'icona ha un senso solamente se uno crede che sia veramente l'immagine, l'immagine della divinità: cioè l'icona è qualcosa che simbolicamente aderisce immediatamente al soggetto che è Dio. Cioè la pittura è qualcosa che ha a che fare con tutta una grossa parte di non detto, di maledetto, di inespresso, diciamo non linguistico nel senso del simbolo.
Francesco Vincitorio: 00:10:20 Ecco questo mi pare molto giusto e d'altra parte io...mi viene in mente un'altra parola che spesso tu hai usato - non so se in testi recenti - nostalgia, è una parola che ricorreva ma addirittura con certe correzioni. Io ricordo che una volta mi ha molto colpito una leggera forzatura, se mi consenti in cui tu addirittura, dicevi è nostalgia anche il futuro. No, era qualcosa del genere.
Ruggero Savinio: 00:10:49 Sì, sì, era una cosa di questo genere.
Francesco Vincitorio: 00:10:49 Mi aveva molto colpito, perché chiaramente poteva essere una specie di apparente contraddizione. Ecco, questa nostalgia c'è ancora dagli anni '80 in avanti?
Ruggero Savinio: 00:11:02 Ma direi di sì, perché mi pare che sia un po' una costante - forse anche del mio carattere oltre che nel mio lavoro, quello che tu dicevi, appunto ricordavi questa cosa, questa nostalgia del futuro. Era, sì effettivamente potrebbe essere quello che non so, che è stato chiamato, il sogno di una cosa. Cioè, l'idea che la nostra vita, la nostra vita di umani possa, possa, possa un giorno essere vissuto sotto il segno, per esempio che possiamo chiamare della felicità, della fratellanza o come come...voi dite. Tutto sommato, credo che la pittura ha a che fare con questo, l'arte ha a che fare con questo, più che con l'estetica. Mi sembra che ancora è importante continuare a pensare che dobbiamo sottrarre l'arte all'estetica. L'arte ha a che fare con la vita degli uomini e forse prefigura un qualche cosa che verrà, o che noi speriamo che avvenga. In questo senso parliamo di nostalgia del futuro. L'atteggiamento nostalgico può essere anche qualcosa che in qualche modo ci tiene legati, invece ha un rimpianto del passato - come un'età dell'oro che abbiamo lasciato per sempre alle spalle. Ora questo credo che è leggermente cambiato come atteggiamento, forse. Penso che mi interessa di più il dato, diciamo così futuro attivo, insomma dell'arte, piuttosto che il rimpianto di uno splendore passato.
Francesco Vincitorio: 00:12:20 E questo corrisponde anche in fondo al tuo lavoro, cioè in effetti mi pare che alla fine degli anni '70 - alla serie l'Età dell'Oro, no? - la tua serie che è proseguita poi, in fondo questo tema, anche se magari non era più titolo, ma proseguiva con un discorso pittorico, in fondo e qui giustamente dici te del discorso della nostalgia è più proprio, se così possiamo dire.
Ruggero Savinio: 00:12:45 Sì.
Francesco Vincitorio: 00:12:45 Ecco, e io insisto su questo snodo, perché è il punto secondo me fondamentale, oggi no, questa leggera mutazione anche di ottica da parte tua. Tu hai detto in fondo un discorso proiettato un po' più sul futuro, e quindi allora questo mi fa venire in mente appunto il discorso delle forme più delineate, che sono quasi sempre un discorso non dico utopico - ma fanno parte di un discorso più costruttivo, rispetto al discorso di nostalgia per un tempo passato. E qui noi prima di iniziare la registrazione abbiamo nominato Cezanne. Anche lui mi aveva molto colpito una volta, se non ricordo male, che tu proprio citando possibili maestri, questi possibili maestri, tu citavi Cezanne, no? Ecco, oggi rispetto a ieri, vorrei sapere questo tuo rapporto con Cezanne, al tempo dell'Età dell'Oro e oggi in cui guardi al futuro...
Ruggero Savinio: 00:13:57 Cezanne è un riferimento obbligato a chiunque voglia costruire delle forme oggi, cioè della modernità. Un altro artista, un altro pittore che sento molto vicino e che - forse anche per motivi diversi, più letterari, più poetici eccetera è von Marées. E tutto sommato i due - anche se si ignoravano a vicenda se seguivano strade apparentemente molto diverse, facevano in qualche modo la stessa ricerca, che era la ricerca della possibilità di ricostruire una forma nell'epoca moderna, cioè quando le forme apparentemente si erano dissolte. Però la creazione di una forma di Cezanne, era una costruzione di una forma che mantenesse anche la sua apertura, cioè che non fosse una forma rigidamente chiusa, come era quella delle accademie, insomma della tradizione accademica. Marées per conto suo faceva lo stesso, esattamente lo stesso, la stessa ricerca. Devo dire, che a questo punto, per motivi di vario genere, come ho detto prima, mi è più simpatico Marées.
Francesco Vincitorio: 00:14:54 Non avevo dubbi.
Ruggero Savinio: 00:14:55 Ecco, che è un grandissimo artista, però mi allontana un po' da lui il moralismo connesso a Cezanne. Cioè, il fatto di proporre Cezanne come un modello a norma di ogni pittore che si voglia serio. Ora Cezanne è un grandissimo pittore, di fronte alle cui opere rimaniamo ogni volta veramente addirittura sconcertati per l'ampiezza dei profili di proposta che c'è in ogni modello.
Francesco Vincitorio: 00:15:21 Io, se mi consenti proseguo su questo discorso che mi interessa moltissimo e tento di scoprire un po' di te. Penso al colore di Marées no, c'è senza dubbio un discorso molto parallelo - direi la mostra di questi giorni a Roma i disegni, purtroppo i dipinti...
Ruggero Savinio: 00:15:37 Sono bellissimi.
Francesco Vincitorio: 00:15:40 Sono bellissimi, e indicano chiarissimamente questo discorso parallelo a Cezanne, no? Con qualche cosa, che qui non compare molto ma - direi anche invece in alcune opere iniziali compare - poi se ci ricordiamo Napoli, il discorso è calzante. Con un colore che allora e forse oggi, tuttora rispetto soprattutto a Cezanne - non so se è stato, io lo definirei sporco, un colore in fondo triste.
Ruggero Savinio: 00:16:09 Sì, sì, sì.
Francesco Vincitorio: 00:16:10 Cioè, rispetto alla solarità di Cézanne - specie nelle bagnanti eccetera, c'è questo discorso triste in fondo di Marées, ecco dimmi qualche cosa su questa distinzione, se sei d'accordo e perché continui ad avere Marées come tua simpatia.
Ruggero Savinio: 00:16:28 Sono perfettamente d'accordo. Però bisogna dire una cosa, che Marées era un pittore che faceva un grandissimo uso di bitume, comunque di colori che tendevano a scurirsi. I suoi quadri erano...Fino a qualche anno fa erano perfettamente neri. E difatti sono stati affidati a restauratori - e in più Marées era, rispetto ai fasti e alla fama che lo circondava in vita dopo la morte, completamente dimenticato nel '900. Adesso, invece c'è una grande ripresa di interesse e quasi per fortuna sono stati ripuliti e si è visto che il colore esiste in Marées ed è un colore di chiarissima ascendenza veneta. Cioè, lui dovendosi scegliere una tradizione, si era scelto quella dei Veneti.
Francesco Vincitorio: 00:17:08 Perché, mi pare che era, appunto allora i Veneti erano molto studiati.
Ruggero Savinio: 00:17:13 Erano molto studiati - e poi è una scelta molto indicativa. Nella tradizione alla pittura lui sceglieva Venezia, sceglieva un colore aperto, una forma più sfatta diciamo, più disfatta e meno accademica, meno rigidamente chiusa nel suo disegno. E in quanto allo sporco, lui lo rivendicava con una certa fierezza, diceva "Io, come Rembrandt, dipingo con lo sterco." E' questo sterco che a me interessa.
Francesco Vincitorio: 00:17:38 E perché? perché secondo te lo faceva lui e perché ti interessa a te?
Ruggero Savinio: 00:17:41 Dunque, mi interessa perché lui tra l'altro che io conosco - purtroppo non conoscendo il tedesco, lo conosco nel poco che lo riguarda che abbiamo tradotto in italiano - ogni volta che mi imbatto in sue riflessioni sulla pittura, trovo che siano di una aderenza straordinaria e mi sento molto vicino tra l'altro a quello che lui dice. Per esempio dice "Molti pittori moderni - intendeva moderni nella sua epoca, cioè degli anni '80 del secolo scorso - considerano la pittura, l'immagine come punto di partenza, invece - dice lui - l'immagine è un punto d'arrivo". Questo è esattamente quello che pensavo anche io. Nei suoi quadri trovo tutto questo lavorio, sul quadro, sull'immagine eccetera, che è proprio testimone di questo atteggiamento di fronte alla pittura. Dove c'entra anche quello che tu hai chiamato lo sporco, cioè tutto quello che uno può chiamare ombra o mito o comunque...
Francesco Vincitorio: 00:18:33 Anche pessimismo?
Ruggero Savinio: 00:18:33 Ma non direi, perché il lavorio vuole sboccare in qualche cosa che sia invece perfettamente risolto, anche proprio nel senso della solarità, della classicità, diciamo dell'assolutezza della forma. Quindi, pessimismo non direi.
Francesco Vincitorio: 00:18:49 Beh, anche lui chiaramente - proprio questo discorso dell'Età dell'Oro, appunto a Napoli il discorso è l'età dell'oro,no? Però sono figure - io ricordo la prima volta, che sono entrato lì all'acquario di Napoli - una mattina, io sono uscito fuori con questa curiosa sensazione di contraddizione, è vero quello che dici te del discorso del restauri, ma allora erano già stati restaurati, quelli di Napoli. Una sensazione di una leggera contraddizione tra questa Età dell'Oro - se così possiamo dire - in fondo una specie di tristezza, io chiamerei di fondo, che percorreva i pescatori, le figure sotto gli alberi. C'è in fondo un tono leggermente dolente - grave direi, una gravità che, appunto ripensando invece a Cézanne - c'è questa specie di solarità se posso dire no? Quindi, anche nel colore stesso, il modo di costruire ecco. Tu, a tua volta hai invece dato al colore questo carattere in fondo di materia che sta crescendo e questo secondo me è il tuo contributo, molto importante. C'è questa nascita, cioè l'immagine non viene data ma nasce - tu l'hai legata anche al dato materico.
Ruggero Savinio: 00:20:11 Sì, sì, certo.
Francesco Vincitorio: 00:20:12 Questo è molto moderno da parte tua. Ecco direi rembrandtiano - al limite se vogliamo rifarci all'antico - e invece non corrisponde al discorso probabilmente di Marées, dove invece la materia - almeno io non l'ho sentita mai così fermentante, com'era invece nel tuo discorso, mi capisci? Ecco, è questo, ecco su questo discorso, cioè di una modernità che tiene conto di questo fermento della materia, tu quali sono le tue riflessioni sul tuo lavoro?
Ruggero Savinio: 00:20:45 Ma più o meno quelle cose che abbiamo detto prima, cioè la materia come qualche cosa che entra nell'immagine come, come polo antagonistico ma compresente, in un certo senso. Che non deve essere abolita in funzione dell'immagine, né viceversa. L'immagine lavora in funzione della materia, ma è come un equilibrio instabile, fragile e precario. Insomma che si compie nell'opera e che sta lì. Un'idea che del resto avevano greci, quando parlavano di forma ed evento.
Francesco Vincitorio: 00:21:12 Ecco però, questo non è una forte tradizione occidentale, anzi io direi - che spesso mi è capitato vedendo le tue cose - di pensare invece a certe esperienze di proprio - io le chiamerei russe tanto per farti capire subito - dove questa materia è realmente in alcuni artisti - anche del tardo '800, no? C'è questo fermentio della materia e direi che è una tradizione che tuttora, se si vedono certi paesaggi loro. Sorprende questa specie di materia denudata, che poi il risultato invece non è questo. Ecco hai mai riflettuto a questo?
Ruggero Savinio: 00:21:59 Ma dunque sì, anche perché tu stesso - mi ricordo che questa cosa dei russi me n'avevi parlato, accennato negli anni '70 - quando ci siamo cominciati a frequentare.
Francesco Vincitorio: 00:22:08 Non me lo ricordavo.
Ruggero Savinio: 00:22:08 E allora mi aveva colpito - forse anche perché non conosceva ancora quel pittore a cui alludevi - ma poi ad esempio, un pittore che ho visto in riproduzione, che non sono mai stato in Unione Sovietica è Ruben, che trovo un pittore molto interessante. D'altra parte, però questo modo di considerare e usare la materia e praticare la materia, era un modo diciamo tardo ottocentesco. Per esempio, un pittore a cui si può riferire, si riferisce diciamo costantemente, come riferimento obbligato è Monet. Altri pittori - che sono molto meno noti, più locali più, più della tradizione nostra, ma che a me interessano molto- come ad esempio in Italia, un pittore come come Plinio Nomellini, che per me è un grande pittore nel senso proprio della grandezza pittorica. Oppure Merello, certi che ormai sono confinati in una...
Francesco Vincitorio: 00:23:00 I liguri hai ragione, ce l'hanno. Ecco, penso alla tradizione, Merello ma direi altri pittori liguri hanno questo senso di una materia....
Ruggero Savinio: 00:23:09 Fermentante.
Francesco Vincitorio: 00:23:09 Ecco fermento, ti pare. Curiosamente, noi non abbiamo mai - in questo nostro discorso - invece nominato una persona che invece ti è vicino per ragioni di sangue, ma anche per un certo discorso di mistero, che in fondo c'è anche nella tua pittura, cioè il discorso dell'apparizione. In fondo è un elemento costante della tua pittura, in fondo hai sempre teso a far apparire, no delle forme, no? a questo concetto di apparizione non improvvisa, ma attraverso un processo, ma il risultato era poi quello che diventava una apparizione nel paesaggio. Ecco, perché non lo stiamo nominando secondo te?
Ruggero Savinio: 00:23:56 Non lo so, forse perché il riferimento è molto ovvio - appunto abbiamo detto che è dovuto a ragioni di sangue. Quindi, è ovvio anche, non soltanto per la parentela che ci lega, come anche in riferimento a mio padre. Ma anche perché vuol dire che la mia formazione della prima infanzia è avvenuta all'interno di certe immagini che io vedevo, avevo costantemente sotto gli occhi. Oltre alle immagini dei miei parenti, di De Chirico e di mio padre, avevo sotto gli occhi immagini di artisti di cui adesso si è tornato a parlare, ma che allora erano molto poco frequentati, per esempio gli artisti tedeschi dell'800. Ora la grandezza di questo tipo di ricerca o di proposta nel '900 è conclamata, è indubbia, non bisogna tornarci sopra. Penso che però c'è una sostanziale diversità tra per esempio, l'atteggiamento di un pittore come De Chirico e quello di altri che abbiamo nominato, per esempio anche di Marées o dello stesso Nomellini o Merello, che non sono certamente all'altezza inventiva. Cioè, mi sembra che in De Chirico prevale l'immagine, nel senso in cui Marées diceva "i pittori partono dall'immagine" invece che darla come punto di arrivo. Cioè è una pittura tutta fondata su l'apparizione di un'immagine che appare - non si sa bene da dove, perché un'immagine ha fatto il suo mistero è dato anche da questo. Ma manca, direi in lui appunto lo spessore e il travaglio, materico, materiale, oscuro e mitico attraverso il quale l'immagine emerge.
Francesco Vincitorio: 00:25:28 Quand'è che tu hai avuto la percezione di questa divaricazione della tua ricerca? Cioè, mi pare l'hai detto con parole estremamente precise. Quand'è che tu hai avvertito la necessità, cioè non era più soddisfacente per te l'apparizione, le apparizioni dechirichiane o anche le apparizioni di tuo padre? Quand'è che tu hai cominciato ad avvertire che questo non corrispondeva a quella verità che in fondo tu cercavi?
Ruggero Savinio: 00:25:59 Non so bene, cioè quando è avvenuto proprio con chiarezza - posso dire che forse tuttora non è molto chiara la mia posizione rispetto per esempio a questa tradizione anche familiare. Però, più o meno penso che sia qualcosa che è avvenuto nel tempo, man mano che praticavo la pittura, cioè, che mi ero calato dentro anche questo fango, che la pittura come diceva Marées, contro e dentro questo sporco che era la pittura, dentro questo rischio che è la pittura. D'altra parte mi ricordo anche, che di fronte a questo strano mistero di un pittore come De Chirico, che apparentemente rinnega il suo passato per diventare pittore, mio padre aveva la sua spiegazione - che se vuoi ti riferisco - cioè secondo lui De Chirico era tutto sommato un pittore molto poco fisiologico, che tutta la vita ha voluto diventare il pittore alla Rubens per dire no? inventandosi una fisicità che non aveva. Questo penso che abbia ragione, trovo che tutto sommato, paradossalmente a mio padre che è passato - sempre passato per il letterato che dipingeva eccetera, era più fisicamente pittore di suo fratello. Questo si vede anche da come maneggia le materie, gli oli, i colori.
Francesco Vincitorio: 00:27:08 Sono convinto, aneddoto per aneddoto - io ricordo un giorno eravamo con Jesi nella sua collezione, proprio di fronte ai quadri metafisici quelli che aveva sai che ne aveva anche molto belli, eravamo noi due soli. A me era venuto così una specie di insopprimibile espressione, che erano dipinti male e glielo dissi. Ricordo che mi colpì molto, e sai Jesi era uno che perlomeno nelle scelte le faceva giuste, almeno le aveva fatte fino a un certo tempo giuste, disse che anche lui ogni volta che si metteva davanti gli capitava spesso aveva questa percezione che "pitta male, pitta male". Ecco, tu cosa pensi?
Ruggero Savinio: 00:27:54 Penso che lì hai ragione, però per esempio il fatto del mal dipinto bisogna intendere - cioè, io ho visto no, la prima volta che mi sono imbattuto di fronte a questi quadri dal vero insomma, è stato nel '60 in quella mostra, che forse ricorderai che era molto bella: la pittura italiana nelle collezioni americane. C'era una sala, cioè le sale folgoranti erano quella di De Chirico e quella di Boccioni.
Francesco Vincitorio: 00:28:17 Sì, me lo ricordo bene.
Ruggero Savinio: 00:28:18 Dopo, ho visto questi quadri al Museo d'Arte Moderna di New York - la prima volta che sono andato in anni recenti, perché nel '86 sono stato per la prima volta lì e ho visto questa sala. Insomma l'impressione è abbastanza sconvolgente e anche il fatto che è del mal dipinto è qualcosa che aumenta il fascino dei quadri. Cioè, sono quadri che vivono per un'intuizione poetica e per il resto sono, sono espressi con il minimo dei mezzi, con un po' di colore e da un po' di trementina - non sono quadri ben dipinti. Però, da allora probabilmente lui ha sentito il bisogno di mettersi a dipingere bene. D'altra parte mi ricordo che lui stesso, certe sue frasi, "Ho cominciato a saper dipingere, a imparare quello che è la pittura dopo trent'anni". Così, sentivo che diceva - cioè dopo trent'anni ha sentito questo bisogno di darsi un diciamo così, un atteggiamento di pittore, di vero pittore. Poi i suoi riferimenti sono stati via via certe pitture antiche addirittura Rubens eccetera. Perché, invece la sua natura, era una natura di visionario, insomma che con il minimo dei mezzi...
Francesco Vincitorio: 00:29:26 Poeta.
Ruggero Savinio: 00:29:27 Sì, poeta.
Francesco Vincitorio: 00:29:27 Sono d'accordo e sono d'accordissimo con quello che dici, perché anche qui io lo metto - anche qui due aneddoti che appunto stiamo parlando qua per i posteri forse è simpatico dire - io rammento sempre - lui, già vecchio fece una mostra al Palazzo della Stampa, allora c'era la stampa, il Palazzo Marignoli a Roma - e ricordo che io accompagnai Raissa Calza - scena simpaticissima con loro due che erano stati marito e moglie si davano ancora del lei, no? Molto, molto simpatico questo fatto. E poi continuammo col regista a girare, Raissa la ricordo con un velo viola delizioso, com'era lei. A un certo punto lui ci raggiunse - dopo averla saltata ci aveva lasciato. Ce lo ritrovammo dietro, con le mani dietro alla schiena che gli disse "Ho fatto progressi?" e la cosa non mi fece molto effetto, tenuto contro il fatto, parlavamo di un De Chirico ormai già molto anziano, quindi hai ragione te, in fondo lui...la mira era questa. E un altro aneddoto - io ricordo la sorpresa quando una volta sentii elogiare De Chirico da Luciano Fabro. Nel momento del fulgore dell'arte concettuale. che come tu sai, faceva un po' il discorso che dicevi te: cioè l'importante era avere un'idea - in questo caso di De Chirico poetica - e poi i mezzi contavano poco. Ecco ti pare, ti fa pensare qualche cosa, questo?
Ruggero Savinio: 00:31:07 Sicuramente, cioè...c'è mi sembra che il ritorno di interesse per De Chirico - anche l'ultimo, il De Chirico barocco - che appunto mi citi Fabro, per esempio mi ricordo che anche Andy Warhol ha mostrato grande interesse per il De Chirico ultimo, ha coinciso proprio con la stagione concettuale. Cioè con l'idea di una pittura affidata al puro gioco del concetto e dell'immagine. Trovo che adesso siamo ancora immersi in questo clima, insomma dove sembra che - tra l'altro un clima che si può benissimo vivere come anche post-storico, come lo vuoi chiamare postmoderno. Sembrerebbe che l'arte e la storia delle immagini fosse un repertorio da cui si può attingere, ma senza nessun coinvolgimento, con un distacco ironico. Quindi, anche De Chirico può essere usato in questo senso. Ora, quello che credo è che lui effettivamente credeva alla pittura, cioè la sua ironia è molto molto remota in un certo senso, ma lui credeva di rimettere in piedi la pittura, credeva all'assolutezza della grande pittura. Insomma, e questo faceva sì che c'è una tensione in lui insomma che rende affascinante anche i suoi quadri ultimi, anche quelli meno belli.
Francesco Vincitorio: 00:32:17 E dimmi e tu, nei riguardi di questa posizione che tu hai adesso definito, appunto postmoderna ancora, con questa base di concettualità - qual è il tuo atteggiamento?
Ruggero Savinio: 00:32:28 Il mio atteggiamento - se posso dire così insomma - cerco di muovermi in una zona, diciamo che permetta, o che preveda, o che ipotizzi la possibilità di una ricomposizione di questi due termini. Mentre, mi sembra che l'atteggiamento postmoderno - è in pieno l'atteggiamento nichilista. Cioè, è un atteggiamento che pensa che sia impossibile accedere alla verità dell'assolutezza e della pittura. Alla salute in genere, ma siccome siamo pittori, parliamo della pittura. E quindi al massimo può dare un eco nostalgico - ricordo nostalgico di qualcosa che si presume perduto per sempre - oppure quello, possiamo in termini di linguaggio, possiamo dire come parlavamo prima, che il linguaggio è qualcosa che ha a che fare con il concetto, da una parte e dall'altra parte invece è il linguaggio come potrà essere quello dell'Informale, un linguaggio pre-verbale. Invece, a me sembra che possiamo ancora tentare di percorrere la strada dell'assoluto della pittura, e quindi una strada che vuole avere uniti insieme appunto, non però risolti in una sintesi questi due momenti - che sono due momenti linguistici - cioè, quelli del quello del distacco ironico o del simbolo e quello invece dell'opacità della vita, delle ragioni pre-verbali eccetera.
Francesco Vincitorio: 00:33:58 Sai, pochi giorni fa c'è stato a Macerata - mi ha fatto venire in mente - un convegno di filosofi che hanno trattato il discorso della salvezza, no? Quindi il discorso dei miti - come hanno indicato, manca dieci minuti - il discorso dei miti. Però, questa parola salvezza è tornata spesso nel loro discorso, cioè la necessità in fondo di un utopia per la salvezza, se possiamo dire. C'è affinità con questo tuo atteggiamento?
Ruggero Savinio: 00:34:29 Ma direi di sì. Mi pare che l'idea di salvezza è qualcosa che tra l'altro torna a emergere - soprattutto in momenti, in periodi che possiamo dire grossomodo di crisi o comunque di incertezza o ricaduta di certezze. D'altra parte, mi sembra che, se l'arte può trovare dei riferimenti - anche se sembrano assolutamente inadeguati perché troppo alti, ma insomma a volte proprio con la religione, per esempio con la religione cristiana, l'arte è qualcosa di incarnato, secondo me. La pittura è qualcosa che si incarna, un'immagine che si incarna nella sua materia. Esattamente come la religione cristiana in questo differisce da tutte le altre, che presume un Dio che si è incarnato - in questa incarnazione sta un'idea di salvezza - cioè un progetto o una possibilità di salvezza, se noi manteniamo invece questa divaricazione - come da una parte un assoluto, anche pittorico, che non si può mai raggiungere, dall'altra parte invece un brancolamento in una situazione appunto di incertezza e di crisi, questa salvezza l'allontaniamo per sempre dalla nostra possibilità e anche qui dalla nostra tensione utopica.
Francesco Vincitorio: 00:35:37 Scusa Ruggero - non vuole essere un discorso su giudizi che sarebbero oltretutto meno simpatici - ma mi interessa anche per questa parola di assolutezza, mi torna, mi fa pensare a un artista contemporaneo che appartiene invece a quest'area chiamiamola concettuale. C'è Paolini, ecco a me piacerebbe sapere cosa tu pensi del lavoro, dove tu forse sai, questa parola assolutezza lui torna spesso. Ecco, come un giudizio su questa sua ricerca, il perché e il perché dissenti eventualmente....
Ruggero Savinio: 00:36:10 No dunque, è difficile perché - come tu sai noi abbiamo, dico noi, io con altri pittori più o meno affini - insomma, abbiamo attraversato anni, in cui sembrava che il nostro lavoro fosse del tutto desueto e arcaico, cioè che continuare a dipingere con pennelli e colori fosse una cosa del tutto assurda. Quindi, mi sono poco interessato di ricerche diverse come quella dell'Arte Concettuale o Arte Povera eccetera. Però, devo dire che di fronte ad alcuni artisti - quando mi imbatto nelle loro opere - uno di questi è Paolini, un altro potrebbe essere Kounellis, sento una forza di persuasione notevole. Quindi, quello che mi avvicina alla loro opera, non so che cosa sia, penso che sia quello che avvicina di solito alle opere di un artista, cioè la persuasione dell'opera. L'atteggiamento invece culturale e intellettuale che presiede a queste opere, che sta dietro penso che non sia esattamente il mio. Perché lì c'è una scelta che appunto - anche in questa nostra conversazione ho cercato di... Da cui ho cercato di prendere le distanze - che è la scelta del linguaggio come pura concettualizzazione.
Francesco Vincitorio: 00:37:18 Sta a sentire, per concludere invece, una battuta diciamo sul mondano. Siamo ormai a un mese da una tua sala alla Biennale: come ti senti?
Ruggero Savinio: 00:37:30 Ma io all'inizio mi sono sentito molto stupito, perché non avevo mai avuto, non ho mai avuto inviti da nessun ente pubblico - mi pare neanche dalla Quadriennale di Roma - e pensavo che avrei continuato così insomma, di invecchiare senza...o al massimo che sarei stato invitato con qualche quadro , o una parete. E invece, la prima volta che mi invitano, mi hanno invitato con una sala e la cosa mi ha fatto molto piacere e anche mi ha dato qualche preoccupazione. Adesso, dire che mi sento sicuro, non lo so. I quadri che ho fatto sono lì.
Francesco Vincitorio: 00:38:01 Ecco, la “preoccupazione” perché? Scusami.
Ruggero Savinio: 00:38:03 Perché mentre una mostra, se va bene, è visitata da - se va benissimo - da alcune centinaia di persone, la Biennale è una occasione di essere visti da migliaia di persone e poi da un ambiente internazionale, critici di tutto il mondo e quindi...
Francesco Vincitorio: 00:38:20 Questo ti mette preoccupazione?
Ruggero Savinio: 00:38:23 No, ma insomma è una prova, cioè una prova alla quale spero che i miei quadri resisteranno.
Francesco Vincitorio: 00:38:29 Ecco, siccome parliamo appunto per il futuro.
Ruggero Savinio: 00:38:31 Sì.
Francesco Vincitorio: 00:38:31 E ti ripeto, non per il presente. Questo dubbio, è un dubbio profondo o appunto un dubbio mondano?
Ruggero Savinio: 00:38:40 Certo, tu mi metti il sospetto che sia un dubbio mondano, forse è mondano. Nel senso, che a un certo punto un pittore è alle prese con il suo lavoro, con la tela su cui stanno faticando, lavorando eccetera e quello è la profondità della sua vita, insomma il resto possiamo dire che è mondana.